5/06/24

Amici di penna: perchè lo scrittore non viene mai preso sul serio?

Nonostante molti non ci prendano sul serio, scrivere per noi è un lavoro. Il fatto che proprio nella patria di Dante Alighieri e altri illustri esponenti della Letteratura sia considerato un hobby, la dice lunga sul livello culturale odierno. Scrivere non richiede solo creatività, ricerca e fantasia ma metodo, disciplina e, talvolta, sacrifici. I più fortunati di noi che hanno tempo a disposizione, possono organizzare buona parte della loro giornata in base alla cosiddetta ora di scrittura



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"Che lavoro fai?"
"Lo scrittore"
"Oh, bello! Ma ti ho chiesto che lavoro fai"



Quante volte abbiamo dovuto fare spallucce durante una conversazione in cui ci ponevano questa domanda? Per quanto mi riguarda, io non ho mai potuto dire apertamente, se non negli ambienti culturali consoni, che sono una scrittrice (inteso nel senso più ampio, anche di content creator per la pagina, ad esempio). 

Se quando dico di essere giornalista vengo presa più sul serio, perché possiedo un tesserino di iscrizione all'Albo Nazionale che lo avvalora, quando dico di essere (e non fare) la scrittrice vengo guardata con un misto di ammirazione e compassione dal cittadino medio. E sono sicura che succeda anche a voi. 

So bene che questo è molto frustrante perché, analizzando la situazione attuale del Belpaese, la nostra categoria non se la passa molto bene: gli italiani leggono sempre meno, ma scrivono in tantissimi. Sorvolando sulla qualità letteraria delle opere, direi che questo paradosso sia all'origine della crisi del settore editoriale che sta flagellando diversi piccoli e medi editori. 

I lettori di massa, diciamo così, dal canto loro prediligono storie di evasione, anche molto leggere, e nella maggior parte dei casi richiedono un linguaggio semplice e "democratico", nel senso che possa essere fruito anche dai meno eruditi. E ciò, a mio avviso, svaluta fortemente l'esercizio stilistico di un autore. Un aiuto forse arriva dai social, con la diffusione dei trend in linea con le uscite mensili (vedasi Booktoker e affini, che spopolano anche nelle librerie più tradizionali) o le collaborazioni con le Case Editrici. 

Ma tutto ciò non basta. 

Alla base di qualunque rivoluzione che dovrebbe essere messa in atto, c'è la considerazione del ruolo dello scrittore. Ma attenzione, non basta mettere mano a un programma Word per dichiararsi tale, e vi spiego perché. 

Nonostante molti non ci prendano sul serio, scrivere per noi è un lavoro. Il fatto che proprio in Italia, patria di Dante Alighieri e altri illustri esponenti della Letteratura sia considerato un hobby, la dice lunga sul livello culturale odierno. Scrivere non richiede solo creatività, ricerca e fantasia ma metodo, disciplina e, talvolta, sacrifici. I più fortunati di noi che hanno tempo a disposizione, possono organizzare buona parte della loro giornata in base alla cosiddetta ora di scrittura. 

Si tratta di un lavoro perchè impiega gran dispendio di energie mentali e spesso, proprio in virtù di questa sottovalutazione, non viene pagato e inquadrato regolarmente nell'ambito lavorativo. C'è anche da dire che il lavoro intellettuale viene declassato in maniera rozza da chi, invece, lavora con le mani. E anche questo è un forte pregiudizio nei confronti di chi ha studiato, e ha cercato di costruirsi un avvenire. 

Chioso questo post venato di polemica con una riflessione: se aumentassero i lettori e diminuissero qualitativamente gli scrittori, garantendo anche una migliore qualità delle opere (e mi riferisco a qualsiasi genere narrativo), non si rimedierebbe anche a questa penuria culturale? 








4/24/24

Psychè. Come gestire eventuali ricadute durante la terapia

Può succedere che durante una psicoterapia i sintomi del disturbo tornino a manifestarsi. A meno che non ci sia bisogno di ritoccare la dose dei farmaci, è un'eventualità che si può fronteggiare. Spesso è la reazione della nostra mente quando scaviamo dentro il nostro dolore, ma non deve spaventarci: significa che siamo sulla strada giusta


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La psicoterapia, sia essa cognitivo comportamentale che l'analisi, è una tappa del processo di ripristino della salute mentale che può non essere così lineare e soprattutto semplice, come magari ci aspettiamo. Anzi, una terapia del genere implica non pochi ostacoli e momenti di sconforto, ma come ogni cura necessita di un periodo di rodaggio per apprezzarne i risultati. 

Ci saranno momenti in cui sfogarci ci darà sollievo, altre in cui potremmo vergognarci o sentirci in imbarazzo, altre ancora dovremmo affrontare ricordi e periodi della vita così dolorosi da sprofondare nuovamente nella depressione, nell'ansia o nel disturbo di cui siamo affetti. Tutto ciò, però, ha uno scopo. 

Molte persone rifiutano di fare le sedute per le più disparate ragioni e, come abbiamo già visto negli scorsi post della rubrica, la principale è dovuta allo stigma sociale che ne consegue. Tutti potremmo (anzi, dovremmo) effettuare queste sedute, perchè nessuno è esente da traumi, conflitti irrisolti e disturbi che magari non sappiamo essere spie di qualcosa di più grave. I palliativi non serviranno, e coloro che si rivolgono a un terapeuta o a uno psichiatra sono molto più forti di chi sceglie di ignorare la propria condizione, perchè affrontano le sofferenze per  stare bene. 

Può succedere che durante una psicoterapia i sintomi del disturbo tornino a manifestarsi. A meno che non ci sia bisogno di ritoccare la dose dei farmaci, è un'eventualità che si può fronteggiare. Spesso è la reazione della nostra mente quando scaviamo dentro il nostro dolore, ma non deve spaventarci. Significa che siamo sulla strada giusta: la guarigione. 


Cosa fare in caso di una ricaduta? 


Anzitutto, non smettere di assumere i farmaci prescritti. Forse non dovrei specificarlo, ma gli psicofarmaci non vanno mai sospesi, nè il loro dosaggio modificato di propria iniziativa. Se si ravvisa un peggioramento dei sintomi come conseguenza a ciò, bisogna consultare il proprio psichiatra. Queste medicine inducono uno stato di dipendenza nell'organismo, e quando se ne può iniziare a fare a meno bisogna diminuire gradualmente la quantità, altrimenti il paziente va incontro a delle crisi di astinenza che sono molto  pesanti. 

Se invece i disagi aumentano in seguito all'inizio di una psicoterapia, allora è tutto nella norma. Quello che stiamo facendo è un grande atto d'amore verso noi stessi, una scelta di coraggio che ci ripagherà di ogni cosa. Bisognerebbe non abbandonarsi alla sofferenza, ma neppure scacciarla, bensì accoglierla e ascoltare quello che ha da dirci, e capire cosa essa può fare per noi. 

Quando riusciremo a chiudere ogni questione dentro di noi, finalmente vivremo come desideriamo, liberi e soprattutto consapevoli del nostro valore, e schermati da tutta la sofferenza che, spesso, ci autoinfliggevamo. 

4/22/24

Amici di penna. Senza il sacrificio femminile, la società non andrebbe avanti. E gli uomini nemmeno

L'origine del mondo, che ha dato il titolo anche al noto dipinto di Gustave Coubret, non ci sarebbe mai stata senza i genitali e il corpo di una donna. E, forse, molte cose non potrebbero accadere nella società senza il sacrificio femminile, gli uomini non si sarebbero mai potuti affermare nella maniera che conosciamo. Da una parte sono stati fortunati: se ci avessero permesso di fare anche solo la metà di quel che loro fanno, li avremmo messi in imbarazzo 



Gustave Coubret, The desperate man 




Oggi, purtroppo la condizione femminile è cambiata poco, e mi limito a parlare solo del nostro paese. C'è stata un'emancipazione, è vero, ma solo sulla carta, poichè continuano a negarci dei diritti fondamentali. Se prima abbiamo lottato per ottenerli, adesso dobbiamo farlo per continuare ad averli. 

Nella sostanza, la mentalità patriarcale è ancora saldamente radicata nei suoi soliti pregiudizi e iniquità, è ancora impegnata più che mai a far credere l'inferiorità del genere femminile. O peggio, che oramai "siamo alla pari", quindi perchè ancora ci lamentiamo?
Sul serio?

C'è chi ancora pensa che il posto di una donna sia a casa, insieme ai figli, che non abbia diritto a spendere i propri soldi, a concedersi tempo per i suoi interessi, o ambire a una carriera lavorativa. E, ahimè, non lo pensano soltanto gli uomini, bensì anche quelle donne che millenni di storia patriarcale hanno educato per bene al sacrificio di se stesse. 

Perchè il sacrificio è solo femminile, sappiatelo. Avete mai visto un uomo ostacolato nella sua ascesa professionale perchè deve mettere al mondo dei figli? Vi risulta che a un uomo venga imposto un orario di rientro a casa, o che venga provocato, molestato e violentato per il suo abbigliamento? E come mai non esiste un corrispettivo maschile di puttana? Molto semplice: è la donna che deve sottostare alle regole, a lei viene chiesto di annullarsi nel corpo e nella volontà perchè è molto più facile così. Di contro, i maschi sono visti come salvatori, devono aiutare una donna, indirizzarla e, se serve, compatirla per la sua natura fragile ed emotiva. 

La maniera migliore è di farle credere che sia lei a sceglierlo. Che una volta rimasta incinta sia opportuno che lasci il lavoro (oppure ci pensano i datori di lavoro a farglielo capire), che accetti di vivere per lui e con lui, magari abbandonando le amicizie e le passioni. Che venga accusata di essere egoista se si dedica solo al lavoro, o se viene colpevolizzata quando sbaglia qualcosa con i suoi figli. 

L'origine del mondo, che ha dato il titolo anche al noto dipinto di Gustave Coubret, non ci sarebbe mai stata senza i genitali e il corpo di una donna. E, forse, molte cose non potrebbero accadere nella società senza il sacrificio femminile, gli uomini non si sarebbero mai potuti affermare nella maniera che conosciamo. Da una parte sono stati fortunati: se ci avessero permesso di fare anche solo la metà di quel che loro fanno, li avremmo messi in imbarazzo. 

La verità è che, anche nelle migliori famiglie, ci sia una disparità di trattamento in base al genere. Talvolta, certe scelte sono incoraggiate nei ragazzi e non nelle ragazze, oppure si cerca di avviarli verso un determinato percorso scolastico o lavorativo perchè alcune attività sono considerate maschili e altre femminili. Anche il linguaggio perpetra modelli sociali tradizionalisti e fortemente stereotipati: fanno passare il messaggio che le donne, in quanto tali, sognino il matrimonio, e gli uomini debbano eccellere nel lavoro e mantenere la famiglia, tant'è che è considerata una vergogna se nella coppia lei guadagna di più. 

Ciò che ci fa più arrabbiare, e uso il plurale perchè credo di parlare a nome di quelle donne che ne hanno coscienza, è che ci siano quelle che accettano tutto volentieri, perchè sono state indotte a pensare che è così che si diventi adulte, ovvero rinunciando. Crescere, invece, significa realizzare se stessi attraverso la scelta E noi siamo perfettamente in grado di scegliere ciò che vogliamo (o non vogliamo) diventare. 

C'è chi non la pensa così, e chi mente. 


4/17/24

Letteral_mente: L'isola delle anime, Piergiorgio Pulixi -recensione-

L'Isola delle anime è una storia torbida che si svolge presso la sezione Delitti Insoluti della Questura di Cagliari, tra una famiglia temuta, i Ladu, delitti rituali, una setta nuragica e l'omicidio di Dolores Murgia che riapre un cold case di trent'anni prima. Le due ispettrici Mara ed Eva dovranno far luce su questa catena di misfatti, che diventata era l'ossessione un loro collega







Descrizione 



Li chiamano cold case. Sono le inchieste senza soluzione, il veleno che corrompe il cuore e offusca la mente dei migliori detective. Quando vengono confinate alla sezione Delitti insoluti della questura di Cagliari, le ispettrici Mara Rais ed Eva Croce ancora non lo sanno quanto può essere crudele un'ossessione. In compenso hanno imparato quant'è dura la vita. Mara non dimentica l'ingiustizia subita, che le è costata il trasferimento punitivo. Eva, invece, vuole solo dimenticare la tragedia che l'ha spinta a lasciare Milano e a imbarcarsi per la Sardegna con un biglietto di sola andata. Separate dal muro della reciproca diffidenza, le sbirre formano una miscela esplosiva, in cui l'irruenza e il ruvido istinto di Rais cozzano con l'acume e il dolente riserbo di Croce. Relegate in archivio, le due finiscono in bilico sul filo del tempo, sospese tra un presente claustrofobico e i crimini di un passato lontano. Così iniziano a indagare sui misteriosi omicidi di giovani donne, commessi parecchi anni prima in alcuni antichi siti nuragici dell'isola. Ma la pista fredda diventa all'improvviso rovente. Il killer è tornato a colpire. Eva e Mara dovranno misurarsi con i rituali di una remota, selvaggia religione e ingaggiare un duello mortale con i propri demoni.


Recensione 


Questo è il secondo noir che leggo e la seconda opera che ho acquistato di questo autore. Lui mi ha iniziata a questo genere che non sapevo mi sarebbe piaciuto, e mi ha dato la doppia conferma che continuerò a leggere suoi libri e altri di questo filone letterario.

Questa storia mi piace perchè scritta bene, sia da un punto di vista stilistico che lessicale, ma anche perchè amo l'esoterismo di terre grezze e antiche come la Sardegna, che si custodisce gelosamente e si percepisce quasi come un atomo fuori dall'Italia. In effetti, con la descrizione di riti tribali, la forza della terra e questa spiritualità bucolica e fortemente radicata nei cicli della natura, sembra quasi un antro primitivo e misterioso. E le persone che la popolano sono fiere e diffidenti proprio come animali. 

La ricercatezza e i particolari che riguardano il mondo poliziesco, uno dei punti a favore di Pulixi, hanno dato vita a un romanzo sapientemente intrecciato e con una narrazione ad alta tensione. Nonostante sia molto lungo (ben 130 capitoli) è una lettura scorrevole e che regala al lettore piccoli e innocui frame e descrizioni talvolta raccapriccianti. Ciò regala la giusta atmosfera cupa, e oserei definirla slasher. 

L'Isola delle anime è una storia torbida che si svolge presso la sezione Delitti Insoluti della Questura di Cagliari, tra una famiglia temuta, i Ladu, delitti rituali, una setta nuragica e l'omicidio di Dolores Murgia che riapre un cold case di trent'anni prima. Le due ispettrici Mara Rais ed Eva Croce, capri espiatori messi insieme dal destino, dovranno far luce su questa catena di misfatti, che diventata era l'ossessione un loro collega Moreno Barrali

Anche le loro vicende personali si fonderanno con quello che dovrebbe essere un luogo di punizione, ma che invece rappresenta un ulteriore stimolo e riscatto. La ruvidezza dell'una e la dolcezza dell'altra inizialmente cozzeranno, ma riusciranno poi a trovare un equilibrio e a lavorare bene insieme. 

Altro particolare che gradisco sempre, è l'analisi della psicologia  dei personaggi, ognuno con le proprie luci e ombre, le paure e i difetti. Trovo l'approfondimento di questi profili sempre molto interessante, per una lettrice come me che ama scavare dentro la testa dei protagonisti. 

Se amate le storie pieni di colpi di scena, tensione, descrizioni cruente e psicologia ben dosata, allora questo è il libro che fa per voi. 

Voto: 8 


 




4/15/24

Amici di penna. Cosa ti serve per rinascere? -lettera a me stessa, ma anche a te -

Cara me, quante ne hai dovute passare in questo ultimo periodo. Hai affrontato tutto da sola e devi essere orgogliosa di te, perchè non solo hai avuto la forza di chiedere aiuto, ma di accettarlo senza sentirti una perdente. Chi chiede aiuto o mostra le sue emozioni non ha mai perso


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Cara me, 


è finalmente arrivato il momento di riscoprire quello che sei, senza modestia nè tracotanza, ma per quello che effettivamente vali. E non è poco. Cerca di dimenticare la sofferenza che ti è stata inflitta, smetti di pensare di averla meritata e che gli altri abbiano sempre ragione su di te. Basta sentirti colpevole degli sbagli, delle mancanze, dei silenzi e della cattiveria altrui. 

Cerca di fare in modo che i tuoi traumi non influenzino il tuo presente, lascia che la tua memoria diventi una tabula rasa. Lo so, ovviamente, che è una cosa tutt'altro che facile, ma a dispetto di tutto e tutti prova a rendere ogni giorno la tua vita straordinaria con piccole attenzioni, piccoli miracoli: è una sola. Ed è la tua. 

Non perdonare, perchè chi non ha imparato dai suoi errori non lo merita. Non farlo perchè sarà un lasciapassare per farti ancora del male, penseranno che potranno tiranneggiare come vogliono e rimanere impuniti. Invece sii spietata, arida, senza scurpoli, perchè loro non ne hanno avuti nel ferirti. Sii sempre sprezzante della loro malvagità, ridi delle loro vendette perchè sei diventata così forte da non fartene più scalfire. Adesso il tuo unico pensiero, sei tu. Devi rinascere.

Ma che cosa ti serve per rinascere? Te lo sei mai chiesto? 


Solo tu lo puoi sapere, perchè solo tu sai quanto ti sia costato continuare a vivere, nonostante la paura e la solitudine. Guardati dentro e, se sei annebbiata dal dolore, chiedi un aiuto vero. E non pentirtene mai. Cara me, quante ne hai dovute passare in questo ultimo periodo. Hai affrontato tutto da sola e devi essere orgogliosa, perchè non solo hai avuto la forza di chiedere aiuto, ma di accettarlo senza sentirti una perdente. Chi chiede aiuto o mostra le sue emozioni non ha mai perso. 

C'è chi ha bisogno di un sorriso, un abbraccio, di una nuova persona, Di una nuova vita. Io, intimamente, per rinascere ho bisogno di pace, equilibrio, autodeterminazione e sicurezza. Una volta acclarate le nostre priorità, il percorso è senza dubbio spianato. 

Cara me, ma anche te, 

perchè vorrei che questa lettera arrivasse a te che stai soffrendo, per farti sapere che non sei solo, sola. Che finchè sei vivo, o viva, rinascerai infinite volte e morirai una sola. 







4/08/24

Amici di penna. Il valore della solitudine: cosa succede quando scegliamo di non farci più ferire

Arriva un momento in cui, dopo essere stati feriti, sfruttati e umiliati, diciamo "basta". Nonostante siamo coscienti che non potremo mai isolarci completamente, diventiamo refrattari ai legami importanti e rifugiamo le occasioni di socialità. La scelta dell'ammutinamento dalle figure tossiche ha un prezzo, ma si paga volentieri


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A volte, per la nostra bassa autostima permettiamo alle persone di trattarci come vogliono, diamo loro il permesso di trasformarci in lacchè, servi, concubini o anche peggio. Ma arriva sempre, prima o poi, un punto di rottura, cioè un momento in cui ci scuotiamo e reagiamo. Distruggiamo tutto e andiamo via, lasciandoci dietro le invettive di chi ci accusa di cattiveria per esserci ribellati, perchè capiscono che hanno perso il controllo e il potere. Ed è ora che ricominciamo a vivere. Siamo rimasti con noi stessi. 

Abbiamo finalmente la libertà di decidere, abbiamo spezzato le catene della dipendenza e ora dobbiamo trovare la nostra identità, un  posto nel mondo, e renderci conto che esistiamo anche da soli. Arriva un momento in cui, dopo essere stati feriti, sfruttati e umiliati, diciamo "basta". Nonostante siamo coscienti che non potremo mai isolarci completamente, diventiamo refrattari ai legami importanti e rifugiamo le occasioni di socialità. La scelta dell'ammutinamento dalle figure tossiche ha un prezzo, ma si paga volentieri. 

A volte non è facile, me ne rendo conto, perchè siamo talmente abituati a farci calpestare che ci sembra strana quella sensazione di leggerezza. D'ora in poi obbediremo solo alle nostre necessità, ai nostri desideri e perchè no, ai capricci. Quando scegliamo noi stessi, di valorizzarci e amarci di più, iniziamo un grande lavoro che necessita di tutta la nostra concentrazione. 

Ogni risorsa emotiva e fisica deve essere indirizzata verso il nostro benessere, perchè dobbiamo imparare a prenderci cura di noi. Se iniziassimo di nuovo a dedicarci ad altro o ad altri, non riusciremmo a gestire le emozioni e ricadremmo nella spirale di svilimento e autosabotaggio. 

Dobbiamo concederci piccole aperture e molto limitate, il necessario per non impazzire. Imparare a proteggerci diventa una priorità, e a molti non piacerà questo baleno di amor proprio, soprattutto a quelli abituati a vederci sempre gentili, disponibili e accomodanti. 

Mettere noi stessi al primo posto verrà sempre considerato un atto di egoismo, soprattutto dai più egoisti. La modestia non è un valore, e quelli che ti chiedono di non brillare per non essere accecati non sono altro che questo. 

La vera vittoria è impiegare la solitudine per migliorare noi stessi e diventare più forti, perchè grazie a essa raggiungeremo un livello di consapevolezza che difficilmente coloro che ci hanno fatto del male otterranno mai. Se l'avessero avuta, sicuramente non avremmo avvertito l'esigenza di allontanarci. Quando proviamo l'urgenza di separarci, è perchè dentro di noi qualcosa sta per cambiare, e quindi le dobbiamo abbandonare per essere felici. 









3/26/24

Amici di penna. La paura si affronta con la paura

Quando abbiamo paura di qualcosa, l'unico modo per vincerla è... avere paura. Affrontare qualcosa che ci spaventa è il solo modo per capire che, in realtà, siamo in grado di gestire la situazione. Nonostante la reazione fisiologica della nostra mente, nonostante le insicurezze e il senso di inadeguatezza. Siamo molto più della paura


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La paura è una conseguenza a uno stimolo che la nostra mente percepisce come pericoloso per la nostra vita. Si tratta di qualcosa di irrazionale che insorge in determinate circostanze e, apparentemente, è fuori dal nostro controllo: ci sembra di esserne sopraffatti al punto che a volte diventa invalidante per le attività quotidiane. 
Ma, allora, saremo vittime delle nostre paure per sempre? No. In realtà, questo riflesso si può sbloccare. 

Anzitutto, se la paura diventa invalidante bisogna cercarne la radice, approfondire quelle che possono essere le cause scatenanti e, talvolta, inconsce. Senza questa presa di coscienza, non si può proseguire. La fase successiva è, anche se può sembrare contraddittorio, avere paura. 

Le persone arrivano al punto di cercare di evitare ciò che le terrorizza, quindi non affrontano i sentimenti oscuri e le reazioni sgradevoli perché è una cosa che sfugge al loro controllo, con cui non hanno confidenza. In questo modo credono di proteggersi, ma in realtà alimentano quel meccanismo. 

Quando abbiamo paura di qualcosa, l'unico modo per vincerla è... avere paura. Affrontare ciò che ci spaventa è il solo modo per capire che, in realtà, siamo in grado di gestire la situazione. Nonostante la reazione fisiologica della nostra mente, nonostante le insicurezze e il senso di inadeguatezza. Siamo molto più della paura. 

Le cosiddette terapie d'urto a volte funzionano, perché siamo costretti a confrontarci con essa, capire il motivo per cui ci sconvolga così tanto l'esistenza. La paura è quella parte di noi di cui non ci siamo mai presi cura, quella rassicurazione mancata, quell'affetto negato, quella sofferenza subita ingiustamente, quei silenzi che nessuno ha voluto ascoltare e quelle lacrime scorse in completa solitudine. 

Ciò che non siamo stati in grado di combattere dentro di noi, prende le forme del mondo: animali, luoghi, oggetti e persino pensieri. Poiché non abbiamo dedicato loro la giusta attenzione, sono stati costretti a spaventarci. Solo così ci siamo finalmente accorti quanto siano pesanti e dolorosi. 

Quando affrontiamo il dolore e scegliamo di rimanere in ascolto, allora l'anima guarisce. E senza cicatrici.  





3/21/24

Psychè. Non vedersi adulti e realizzati: quali sono le motivazioni?

Questa è una società che dà poche garanzie sulla propria realizzazione e un futuro incerto, e questo può alimentare ansia, pensieri intrusivi e paura. A volte, si fatica proprio a immaginarsi adulti e autonomi, o anche solo progredire in una situazione diversa dalla propria. Perché accade questo? 


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Quando i pensieri intrusivi mi tormentavano giorno e notte, uno di quelli che facevo più spesso era: "Non avrai mai un futuro. Rassegnati: diventerai vecchia e povera, piena di rimpianti, e nessuno si ricorderà più di te". E così, avevo accettato di continuare i miei giorni in una modalità di sopravvivenza, certa che l'avvenire non mi avrebbe riservato ormai più alcuna sorpresa. Inutile dire che, naturalmente, mi sbagliavo su tutto. Erano il mio sconforto, la mia stanchezza, la mia tristezza a parlare, dopo aver combattuto e sperato per anni che arrivasse qualcosa di bello anche per me. 

Uscire da questo vortice è molto difficile, ed è per questo che ho chiesto aiuto. Se avessi maggiori possibilità economiche (non mi vergogno a dire che che ho una piccola fonte di guadagno ma, naturalmente, non basta) mi spingerei molto oltre, come iniziare una psicoterapia privata, che non mi farebbe aspettare 8 mesi. Ma aver ricevuto una diagnosi è stato già positivo, iniziare a curarmi con un farmaco ha nettamente migliorato la qualità della mia vita, ed è un enorme passo avanti rispetto alle condizioni in cui versavo prima. 

Ora, il prossimo step è quello di iniziare a scavare dentro, per cercare le cause della mia ansia e cosa abbia provocato questa forma (non grave) di depressione. Dopo la mia ultima seduta, sono giunta a delle conclusioni riguardo all'universo di noi giovani, della congiuntura economica sfortunatissima che stiamo affrontando. I casi di depressione nella mia fascia d'età sono aumentati pericolosamente, in quanto la pandemia di Covid 19 ha notevolmente amplificato quelle che erano paure e tensioni pregresse. Infatti, io ho cominciato a star male quando alle regioni venivano attribuiti i vari codici rosso, giallo e verde e in base a quelli potevamo uscire di casa oppure no. 

La pandemia, oltre ad aver sviscerato l'atavica paura della morte, ha contribuito a cambiare le modalità di lavoro e, purtroppo, al fallimento di alcuni esercizi commerciali. Molti lavoratori sono stati licenziati, e coloro che avevano una famiglia da mantenere sono sprofondati nella disperazione. Tantissimi altri, che come me che un lavoro non sono mai riusciti a trovarlo, hanno visto il proprio futuro cancellato. Hanno perduto la speranza. 


Il contesto socio-economico odierno, inoltre, è molto diverso da quello in cui è nata la mia generazione: l'epoca immediatamente successiva al boom economico, vissuto dai nostri genitori, ha consentito di lavorare con poche competenze, avere un impiego ben remunerato e sicuro (il mito del posto fisso che sta facendo dannare tutti noi), e concedersi anche vacanze e acquisti onerosi. E questo è diventato un po' il sogno italiano, ovvero la stabilità e la tranquillità e, aggiungerei, un pizzico di omologazione. 

Questa è una società che dà poche garanzie sulla propria realizzazione e un futuro incerto, e questo può alimentare ansia, pensieri intrusivi e paura. A volte, si fatica proprio a immaginarsi adulti e autonomi, o anche solo progredire in una situazione diversa dalla propria. Molti di noi sono talmente sprofondati nella rassegnazione, che non reagiscono più ad alcuno stimolo. Io stessa non vedo molto altro, non riesco a proiettarmi nei prossimi dieci anni. 

Non penso più che rimarrò zitella e rincitrullita, ma neanche mi vedo solida e indipendente come vorrei. Mi trovo in una posizione in bilico, a cavallo tra due percezioni della realtà e dell'avvenire. Capire dove dovrò collocarmi sarà un'ulteriore sfida che, per fortuna, ho la forza di affrontare. 





3/19/24

Amici di penna. Un anno lontano da una persona tossica: la mia rinascita

Non sono più sotto le grinfie di una narcisista. Finalmente è tutto finito. Adesso mi prendo cura di me, sto diventando una persona nuova. Sono consapevole e sto metabolizzando il dolore, attenta alla mia salute mentale, sempre grata ma, soprattutto, con la ferma intenzione di valorizzarmi e amarmi di più. Il racconto di come stia rinascendo, un anno dopo



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Da molto tempo quell'amica non mi faceva più bene. All'inizio sembrava diversa, o forse ero io a non voler vedere. Avevo bisogno di qualcuno da amare, e questo è stato molto arduo da confessare a me stessa. Ma, dopo trecentosessantacinque giorni e a mente decisamente più fredda, ho realizzato che incubo abbia vissuto per sette anni: tutte le frasi che distruggevano la mia autostima, i suoi silenzi  punitivi, le umiliazioni e le sfuriate al telefono, la svalutazione dei miei problemi a vantaggio dei suoi, le minacce di abbandonarmi ogni volta che la contraddicevo e gli abbandoni effettivi, che sono stati ben due. E io che, stupidamente, l'ho perdonata. 

Per paura di perderla, anche se ero mortificata, ho accettato due volte le sue scuse. Ciò che mi fa rabbia di me stessa, è che sono stata fisicamente male quando lei se n'è andata. Mi sono sentita debole, dipendente, una bambina indifesa. Forse è a seguito della repressione di questi sentimenti che, successivamente, l'ho respinta con tanto livore. Se ci ragiono ancora, è perché mi ha ferita nel profondo, non è facile cancellare da un giorno all'altro questo periodo della mia vita.  

Però posso affermare che dopo così tanto tempo, stia finalmente guarendo. E lo sto facendo concentrandomi esclusivamente su me stessa. Ho capito che non era mia responsabilità risolvere i suoi problemi, che non ero una pessima amica se mettevo dei confini, né una cattiva persona se osavo obiettare ciò che diceva. 

Adesso è vero, mi sono decisamente isolata e non frequento più gli ambienti culturali di una volta. So che rifuggire dalla socialità non va bene, ma non posso fare diversamente. Dopo anni della mia esistenza passati a soddisfare le necessità degli altri, adesso ho bisogno di tempo da dedicare alla mia ricostruzione, e me lo prenderò tutto. 

La nostra rottura è stata paragonabile a una lenta agonia, e ricordo ancora l'ultima frase che ebbi la forza di dirle, prima di recidere definitivamente il nostro legame tossico: Ho scelto me. Grazie a te ho capito che devo mettermi al primo posto, sempre. Questa scelta la fece tanto, tanto arrabbiare. Ciononostante, alcuni mesi dopo ebbe il coraggio di ricontattarmi, facendo finta di essere pentita e volermi ancora bene, ma in realtà voleva solo recuperare il controllo su di me. Io le servivo per la sua sopravvivenza emotiva. Per fortuna ero già abbastanza forte da rifiutarla una seconda volta. 

Non sono più sotto le grinfie di una narcisista. Finalmente è tutto finito. Adesso mi prendo cura di me, sto diventando una persona nuova. Sono consapevole e sto metabolizzando il dolore, attenta alla mia salute mentale, sempre grata ma, soprattutto, con la ferma intenzione di valorizzarmi e amarmi di più.

Non so cosa mi serberà il futuro, ma sicuramente continuerò a  lavorare su me stessa, a fare ciò che amo di più e riservare attenzioni e affetto a quelle poche persone che lo meritano, perché non mi hanno mai lasciata in alcuna circostanza. Non sono più la stessa di sette anni fa, nel bene e nel male. E ne sono orgogliosa. 



3/14/24

Letteral_mente. Il buio addosso, Marco Missiroli -recensione-

Nunù, soprannominato anche Il matto e Poline, etichettata dalla nascita come La zoppa, sono i protagonisti di questo romanzo delicato, ma che colpisce in maniera quasi dolorosa. Una storia sulla diversità e di quanto sia difficile, talvolta, accettarla. Soprattutto quando,  anziché una fonte di ricchezza, viene considerata portatrice di disgrazie. Lagraziadeilibri vi racconta la favola di Marco Missiroli, "Il buio addosso"





Descrizione


In un piccolo paese dell'Alta Provenza, immerso in un paesaggio viola per le spighe della lavanda e azzurro per il mare che si scorge in lontananza, vige nell'Ottocento una triste tradizione, che impone agli abitanti di uccidere i bambini che nascano deformi. Ma una bambina zoppa viene segretamente risparmiata. E il romanzo racconta la sua storia segnata dalla diversità, il suo diventare una donna diversa in un mondo che la tiene prigioniera, avvolta dal buio che la ferocia degli altri, nella loro normalità, le getta addosso. Solo l'amore del padre, gli incontri con alcuni altri personaggi marginali come lei e la curiosità di guardare il mondo da dietro una finestra la terranno in vita: e apriranno la strada al suo riscatto. Perché dal buio che è visto e creato solo dagli altri, ci si può, prima o poi, liberare.



Recensione 


Che cos'è la normalità? Forse molte volte avete sentito fare questa domanda, o ve la siete fatta anche voi. L'autore l'ha trasformata in una storia, anzi una favola. Molto ben scritta, un linguaggio poetico e potente, capace di creare dal nulla un mondo immaginifico, non così tanto lontano dal nostro. 

Sembra di vederlo, come un film bianco e nero: la pietra fredda di cui è costruita la torre dell'orologio, con i suoi rintocchi che scandiscono una vita anonima e sempre uguale, i personaggi che sembrano usciti da un film di Tim Burton, con i loro pregi ma soprattutto i difetti. Quelli che vengono condannati e rinnegati dal paese di R., che potrebbe essere un qualsiasi paesino del mondo. Questo nome puntato, che simboleggia quasi l'inesistenza, costituisce la metafora dell'ipocrisia e del pensiero dominante della società. 

Al centro di queste ambientazioni e figure grottesche, troviamo la sensibilità, la dolcezza, e la malinconia dei due personaggi centrali della storia. Nunù, soprannominato anche Il matto e Poline, etichettata dalla nascita come La zoppa, sono i protagonisti di questo romanzo delicato, ma che colpisce in maniera quasi dolorosa. Una storia sulla diversità e su quanto sia difficile, talvolta, accettarla. Soprattutto quando,  anziché una fonte di ricchezza, viene considerata portatrice di disgrazie. 

Con la loro disabilità fisica e intellettiva, rappresentano quella diversità che al mondo fa paura, sono dei capri espiatori sui quali addossare la colpa per il castigo divino dopo un'epoca di felicità e prosperità. La purezza e la perfezione alle quali la società aspira per guadagnarsi di nuovo il favore di Dio, sono una sorta di livella, ovvero un rimedio definitivo che nella storia prende il nome beffardo di polvere dolce. Si tratta di una sorta di condanna a morte per gli esseri umani che impediscono il lustro al paese. 

Nonostante le anime belle che fanno da colonna portante della storia, come il maestro delle Campane Gustave e il sindaco di R., papà di Poline, che rifiuta di ucciderla alla nascita con la polvere, l'epilogo finale è la prova di quanto sia facile discriminare e creare dei privilegi derivanti da status irraggiungibili. 

Poline accetta una vita da reclusa perché pensa davvero di essere la causa del male che ha portato all'esclusione della sua famiglia dalla vita del paese, anche se le poche avventure al di fuori delle mura domestiche le fanno assaporare la meraviglia della libertà. Nunù, rimasto solo al mondo dopo la morte del papà, diventa per lei  un compagno con cui spartire quell'esistenza da maledetta. 

Un romanzo dal finale piuttosto amaro, che però farebbe capire al lettore tante piccole cose importanti. Libro consigliatissimo. 

Voto: 8 1/2

3/12/24

Amici di penna. Cos'è la gratitudine e perché bisognerebbe praticarla

Io non dimentico mai chi mi ha aiutato nei momenti difficili. Trovo sempre un modo per dimostrare la mia gratitudine, perché è importante per me che sia visibile. La riconoscenza è un dono prezioso che sempre più spesso non si regala, perché vediamo come dovuta la presenza di chi ci ama




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L'aiuto e l'affetto delle persone che ci amano non dovrebbe mai essere scontato. Soprattutto, dovrebbe essere uno scambio e non un lascito unilaterale. Ognuno ha la propria dignità e delle risorse che può mettere a disposizione solo per un periodo limitato, e a un numero di persone non così elevato. Ed è giusto così. 

Bisogna saper chiedere, con i dovuti modi, ma anche dare. O, perlomeno, fra persone equilibrate e senzienti funziona così. Quando una delle due persone inizia a donar(si)e a fondo perduto non è più affetto, ma un becero sfruttamento. Oggi potrebbe essere considerata la via più facile per ottenere qualcosa. Invece, la gratitudine è la moneta dal valore più grande che si possa scambiare. 

Io non dimentico mai chi mi ha aiutato nei momenti difficili. Trovo sempre un modo per dimostrare la mia gratitudine, perché è importante per me che sia visibile. La riconoscenza è un dono prezioso che sempre più spesso non si regala, perché vediamo come dovuta la presenza di chi ci ama. 

Potrebbe sembrare una contraddizione, invece ha un senso: bisogna prendersi cura e saperlo fare, con uno scambio reciproco di attenzioni, presenza e sostegno: quando pretendiamo sviliamo l'altro e noi stessi. Io credo che questa incapacità di dare sia originata da due implicazioni: la persona non ha mai ricevuto nulla, oppure ha ottenuto sempre in modo sbagliato. 

Ci sono anche momenti in cui bisogna saper mettere dei paletti, per impedire di essere prosciugati. Questo è necessario e vitale, perché è bello aiutare gli altri ma non a scapito della propria integrità. Ci vogliono delle condizioni specifiche per farlo, non bisogna abusare, soprattutto quando dentro qualcosa non funziona. Perché in quel caso, l'aiuto diventa solo un pericoloso diversivo per ignorare il proprio disagio, nella speranza che scompaia da solo. Di conseguenza, non è più un atto libero. 

Non può esistere libertà quando il dono viene imposto e quindi si trasforma in sacrificio, in violenza, richiede una rinuncia dolorosa. Bisogna essere disposti, e questo sembra un concetto scontato, ma molti non lo tengono neanche in considerazione. 

Essere riconoscenti è un modo per far capire a chi ama che i suoi sforzi, la sua cura e il suo affetto sono stati ricevuti e riconosciuti. Non c'è niente di più bello della parola grazie: abbiamo la certezza che quella parte di noi che abbiamo donato sarà ben custodita. 




Amici di penna: perchè lo scrittore non viene mai preso sul serio?

Nonostante molti non ci prendano sul serio, scrivere per noi è un lavoro. Il fatto che proprio nella patria di Dante Alighieri e altri illus...