Psychè. Salute mentale: stigma sociale, cliché e sensazioni

Nel primo appuntamento con la nuova rubrica Psychè, ho intenzione di raccontarvi cosa ho provato durante la prima visita da un professionista, lo stigma sociale che perseguita chi ha bisogno del sostegno di una psicoterapia e quali sono i più brutti luoghi comuni a riguardo








L'etimologia della parola "psicologia" è greca, una crasi tra psychè, che vuol dire anima, e lògos, cioè parola o discorso. Quindi, si tratta di un discorso fatto sull'anima.


Uno bravo 



"Tu sei malata, fatti curare". "Hai dei problemi seri, devi andare da uno bravo". Frasi del genere me le hanno dette  persone che dicevano di volermi bene, dicevano mi sarebbero state sempre vicino ma non con affetto, bensì con cattiveria e disprezzo. Come se aver bisogno di essere aiutati fosse denigratorio, quasi una vergogna. 

Ebbene, ho accettato il loro gentile invito: ho effettuato una visita psichiatrica, e vi ho dedicato una rubrica  perché non c'è niente di male. La salute mentale è importante quanto quella fisica. L'obiettivo di questo piccolo spazio è raccontarvi cosa ho provato durante la prima visita da un professionista, lo stigma sociale che perseguita chi ha bisogno del sostegno di una psicoterapia e quali sono i più brutti luoghi comuni a riguardo. 

Lo stigma sociale

Forse lo sapete, ma oggi chi decide di intraprendere un percorso di psicoterapia viene guardato con sospetto, deriso e insultato. La figura dello psicologo o psichiatra viene associata ai manicomi: infatti  nell'immaginario collettivo è il medico dei pazzi, e chi vi si rivolge non può che essere pazzo, debole o in cerca di attenzioni, che equivale a voler fare la vittima.
C'è ancora la separazione netta fra i sani e i malati, senza sapere che in realtà ognuno di noi ha vissuto dei traumi, soffre per una serie di motivi, può deprimersi e patire disturbi di natura psicologica. Non esistono, difatti, individui completamente sani. 

I luoghi comuni 


Pur di evitare questo marchio d'infamia, questa lettera scarlatta, si ricorre a qualunque espediente: secondo i luoghi comuni più insensati e pericolosi, per combattere i pensieri intrusivi o tirarsi su il morale basterebbe fare una bella passeggiata, ascoltare musica, distrarsi e divertirsi. E per risolvere attacchi di panico, ansia e paure? Basta una chiacchierata con il tuo migliore amico e passa tutto! Per carità, il sostegno emotivo e l'ascolto di persone care sono importantissimi, ma purtroppo non bastano, perché non hanno gli strumenti per dare ciò di cui la persona ha più bisogno: aiuto. 


La prima seduta 


Durante questa prima seduta conoscitiva il dottore ha dovuto inquadrarmi per potermi fare una diagnosi, e sono stata attraversata da molte emozioni e molto potenti. Lo avevo messo in conto, perché scavare dentro di te, far emergere momenti della tua vita che vorresti seppellire oppure sensazioni sgradevoli è davvero tanto da sopportare, ma necessario. Ho pianto mentre parlavo, sapevo che era normale ma ho chiesto scusa, non mi piace piangere davanti agli estranei. Il dottore mi ha rassicurato dicendo che è una cosa molto comune e potevo farlo tranquillamente. Quello è uno spazio sicuro dove potersi aprire, e lo sapevo, ma in realtà non mi sento mai al sicuro da nessuna parte. 

Inizialmente ero tesa, controllata, soppesavo e sceglievo con cura le parole da usare perché volevo dare una buona impressione. Non volevo apparire troppo fragile: con il tempo ho imparato a celare  bene questa mia caratteristica, perché c'è chi non perde occasione di fartelo notare, ti giudica e  ti dà istruzioni su come dovresti essere, perché la tua insicurezza disturba, non va bene. Poi, quando ho toccato determinate corde, non sono più riuscita a farlo. E, forse, è proprio questo uno degli obiettivi della terapia: far cadere la maschera e denudare le tue emozioni. 

Dopo aver parlato per un'oretta, è arrivata la diagnosi: ansia depressiva, ovvero disturbo d'ansia lieve e depressione. Dovrò assumere dei farmaci e affiancarli a una terapia psicoanalitica, ma lo accetto e scelgo di prendermi cura di me, dopo due anni passati nella disperazione, senza avere più alcuna prospettiva per il futuro. Sarà difficile, nessuno ha detto il contrario, ma non voglio più sentirmi finita, bensì cominciare a piccoli passi a stare meglio.  Me lo devo, dopo tutti gli incontri sbagliati, le umiliazioni e la cattiveria che ho subito finora. 

Se ho scelto di aprirmi con voi, parlandovi di questo momento per me importante, è perché  vorrei che nessun altro soffrisse, e soprattutto far passare il messaggio che quando si sta male bisogna chiedere l'aiuto concreto di uno specialista, ignorando tutti i cliché e le stupidaggini. Non avete nulla di cui vergognarvi, anzi siete forti. Molto più di chi preferisce minimizzare e non affrontare i propri demoni. 









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