6/29/22

LitterArt days: La camera chiara, di Roland Barthes: catturare emozioni con la luce

 L'ultimo appuntamento con LitterArt days è dedicato al legame molto meno comune e celebrato fra Letteratura e Fotografia. La camera chiara di Roland Barthes è una raccolta di riflessioni e conisderazioni sulla reale funzione della Fotografia





Sembra molto poco comune, ma anche una forma d'arte così affascinante come la Fotografia è stata celebrata e analizzata attraverso il filtro delle parole. Si tratta di un'edizione di questo libro, che non poteva essere altro che illustrata, dal titolo La camera chiara, di Roland Barthes

In questo testo vi sono riflessioni, digressioni ma anche anlisi della Fotografia, il cui significato etimologico viene dal Greco e significa scrivere con la luce. Barthes considera che questa attività assume delle connotazioni culturali e lo lasciano preda di un certo stupore, al punto che la preferisce al Cinema, dalla quale è comunque inscindibile. 

Non esistono delle vere e proprie classificazioni, se non quelle empiriche, ovvero quelle determinate dall'esperienza (amatori, dilettanti, professionisti), retoriche (oggetti e persone), ed estetiche (realismo e pitturalismo). 

Non si discosta mai da ciò che rappresenta nella realtà, per un fattore evidente di contingenza, nè racchiude in sè una vera e propria filosofia. La fotografia, anzi UNA fotografia, assurge quindi a un potere tautologico: riporta fedelmente e nient'altro di quello che c'è nella realtà. 


Una fotografia può riprodurre all'infinito qualcosa che è avvenuto una volta sola,  è quindi un particolare assoluto, frutto dell'incontro del Corpus (ciò che is vede), la Tyche (l'occasione) e il Reale della sua espressione. 

Una fotografia è inclassificabile anche perchè non c'è ragione di ragionare sul perchè e per come ci sia stata quella selezione. Barthes conviene che non esistevano, all'epoca, degli studi sulla Fotografia, e che quindi era difficile spiegare determinati punti di vista. 

Ciò che dà realmente senso a una foto, come lui stesso dimostrerà attraverso gli scatti per lui più significativi, è l'emozione. Questa è la caratteristica imprescindibile, senza la quale  fermare un istante per sempre non avrebbe alcun significato. 






6/28/22

LitterArt days. La signora delle camelie, di Alexandre Dumas, ha ispirato La Traviata di Giuseppe Verdi

La seconda giornata di LitterArt days esplorerà il legame tra Letteratura e Musica: il Maestro Giuseppe Verdi, per la Traviata, si è fatto ispirare dal romanzo di Alexandre Dumas La signora delle camelie, ed entrambi sono meravigliosamente riusciti! 

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Forse non tutti ne sono a conoscenza, ma anche il legame fra Letteratura e Musica è assai stretto. Le storie più appassionanti, i grandi romanzi e i soggetti più iconici degli altri tempi sono stati fonte di grande ispirazione per i musicisti dell'epoca, che attingevano dal vasto repertorio letterario per dare vita alle loro composizioni e ai loro personaggi. 

Anche per Giuseppe Verdi non è stato diverso: la sua celebre Traviata è ispirata al romanzo del figlio omonimo di Alexandre Dumas, intitolato La signora delle camelie. Si tratta della storia d'amore, considerata scandalosa per l'epoca, fra Margherita Gautier e Armando Duval. La storia fu considerata sconveniente perchè evidenziava anche l'ipocrisia della società borghese dell'epoca. 

Trama del romanzo

Armand è il rampollo di una famiglia benestante che una sera, a teatro, conosce la bellissima Margherita, una cortigiana dedita al lusso e pronta a concedersi a chiunque le vizi in tal senso. Se ne innamora all'istante, e riesce anche a conquistarla. Margherita sente per lui un sentimento puro, che ha intenzione di preservare e di usare per redimersi dalla sua vita dissoluta. 

La donna, per proteggere l'amato dalla sua torbida esistenza, gli tiene nascosto oltre agli innumerevoli debiti contratti, anche il fatto di essere ammalata di tisi. Ha così inizio una storia romantica e straziane, che conquista i lettori di tutto il mondo. 


La versione lirica 

Dopo un debutto disastroso presso La Fenice di Venezia, nel 1853, La Traviata ottenne un successo travolgente. Anche in questo caso si trattava di un'opera dal contenuto scandaloso, poichè era considerata essenzialmente un elogio del vizio e di costumi considerati immorali per l'epoca.  L'aggettivo traviata, infatti, significa corrotta, degenerataIl remake verdiano narra la storia non di Margherita, ma di Violetta, di cui il giovane Alfredo di innamora perdutamente. 

Ed ecco una chicca per gli amanti del genere: il testo della celeberrima aria Libiam ne' lieti calici.


ALFREDO

Libiamo, libiamo ne’ lieti calici,

che la bellezza infiora;
e la fuggevol fuggevol’ora
s’inebrii a voluttà.
Libiam ne’ dolci fremiti
che suscita l’amore,
poiché quell’occhio al core
Onnipotente va.
Libiamo, amore; amor fra i calici
più caldi baci avrà.
Più caldi baci avrà.
il tempo mio giocondo;
tutto è follia follia nel mondo
Ciò che non è piacer.
Godiam, fugace e rapido
è il gaudio dell’amore;
è un fior che nasce e muore,
né più si può goder.
Godiam c’invita c’invita un fervido
accento lusighier.
la notte abbella e il riso,
in questo in questo paradiso
ne scopra il nuovo dì.
la notte abbella e il riso,
in questo in questo paradiso
ne scopra il nuovo dì.

TUTTI

Ah! Libiam, amor fra i calici

VIOLETTA

Tra voi, tra voi saprò dividere

TUTTI

Ah! Godiamo, la tazza e il cantico

VIOLETTA

La vita è nel tripudio…

ALFREDO

Quando non s’ami ancora…

VIOLETTA

Nol dite a chi l’ignora.

ALFREDO

È il mio destin così…

TUTTI

Ah! Godiamo, la tazza e il cantico










Amici di penna. 28 giugno, Giornata Mondiale della Fenilchetonuria

Oggi è la Giornata Mondiale della Fenilchetouria, una malattia metabolica che riguarda la fenilanalina, un ammnoacido essenziale, che viene convertito in tirosina e che, a sua volta, è precursore di un importante neurotrasmettitore: la dopamina. Si tratta di una malattia genetica rara, della quale vi parlerò perchè ne sono affetta dalla nascita. Perchè bisogna (in)formare
 


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Oggi, 28 giugno, è la Giornata Mondiale della Fenlchetouria, ma immagino che siano poche le persone che la conoscono, se non le dirette interessate come me. Ebbene sì, io ne sono affetta dalla nascita e non ho più voglia di nascondermi, anche perchè non è una colpa. Il mio scopo, con questo post, è quello di informare e sensibilizzare. 

Per me, la narrazione di questa malattia genetica metabolica si suddivide in due periodi di tempo che va dai primi anni Novanta, durante i quali era pressochè sconosciuta, e oggi, in cui c'è maggiore consapevolezza e la ricerca ha consentito anche  la scoperta di nuove modalità per affrontarla. E bisogna farlo, ahimè, per tutta la vita. 

Che cos'è la Fenilchetonuria? 

Cercherò di spiegarlo nella maniera più comprensibile che ci sia, perchè si tratta di nozioni piuttosto complesse. 

Nel nostro organismo, nel momento in cui viene introdotto il cibo, avvengono delle reazioni chimiche grazie alle quali sono elaborate e sintetizzate le sostanze nutritive, come gli amminoiacidi. In alcune persone, però, a causa della mutazione di un gene chiamato PAH che è di tipo recessivo (è presente nel codice genetico ma non si manifesta), c'è una totale mancanza o un mal funzionamento degli enzimi che concorrono a tali processi. 

Nel caso di specie, si tratta della fenilanalina-idrosilassi, che converte l'aminoacido fenilanalina,, considerato essenziale (infatti, è presente in tutti i cibi), in tirosina, il quale è precursore della dopamina, un importante neurotrasmettitore cerebrale. Quando questa conversione non avviene, si verifica un accumulo di questa sostanza nel sangue che comporta dei gravi deficit dei neurotrasmettitori cerebrali, come la serotonina

Cosa comporta questa malattia e come viene diagnosticata? 

La diagnosi viene effettuata alla nascita, con il Test di Guthrie, o screening neonatale, che quando nacqui io non era ancora effettuato in tutti gli ospedali, mentre oggi è obbligatorio. Consiste nel prelievo di una piccola quantità di sangue dal tallone del neonato e fatta asciugare su un disco di carta da filtro, chiamato spot

Se non viene diagnosticata in tempo, questa malattia comporta ritardo mentale grave, disabilità intellettive, microcefalia (testa con dimensioni ridotte rispetto alla norma), epilessia. Si tratta, per l'appunto, di una patologia molto seria, che spesso veniva confusa con celiachia, o addirittura diabete. 

Quali cure sono disponibili?

La dietoterapia, ovvero osservare un regime dietetico molto restrittivo che limiti al massino le proteine (e, quindi, la fenilanalina), sembra essere l'alternativa più efficace nelle forme più severe, ma dal 2019 è attiva in Europa una terapia enzimatica sostitutiva, Purtroppo, non tutti i pazienti hanno risposto in maniera adeguata a questa sperimentazione: io stessa non ho manifestato alcun beneficio dopo la prova di carico di farmaci, nonostante gli alti livelli nel sangue di fenilanalina. 

La mia storia

La maggior parte dei miei ricordi d'infanzia è costituita  da prelievi, ricoveri, estenuanti prove di carico, esami clinici e psicologici molto lunghi e noiosi e, talvolta, persino dolorosi. I primi diciassette anni della mia vita, il periodo dello sviluppo che era il più critico, sono stati piuttosto limitati e limitanti, nonostante i miei genitori cercassero di dare una parvenza normale alla mia esistenza. 

Oltre alla dieta rigida che dovevo osservare, dovevo assumere una miscela di amminoacidi per la crescita, e dovvevo consumare alimenti aproteici, ovvero senza proteine. Si trattava di pasta, biscotti, pane ecc che si acquistavano in Farmacia e arrivavano da America o Inghilterra. All'epoca non sempre erano disponibli e, in un primo momento, erano anche onerosi, perchè il Sistema Sanitario non riconosceva questa patologia. Spesso, quando terminavano all'improvviso le scorte, i miei genitori dovevano acquistarle presso le Farmacie del Vaticano

Fino a una certa età non ho mai conosciuto il sapore della cioccolata, del latte, dei biscotti, o della pasta di grano duro. Il mio regime alimentare consisteva nel pesare ogni cosa con una scurpolosa attenzione, soprattutto il secondo piatto, fonte maggiore di proteine. Per fare un esempio, potevo mangiare solo 30 gr di carne a pranzo. 

Nonostante fossi nata con questa forma mentis e abbia imparato a gestirmi da sola in contesti pubblici e conviviali come feste di compleanno, cerimonie, o semplici uscite da quando avevo cinque anni, queste restrizioni hanno avuto delle pesanti ripercussioni psicologiche sul mio carattere e sul rapporto con il cibo. Non mi vergogno di dire che avevo persino cominciato a rubare il cibo e a mangiarlo di nascosto. 

Oggi, infatti, non sopporto le persone che si privano di un'alimentazione normale per moda, perchè quando ero io piccola i ristoranti non avevano menu differenziati ed ero costretta, spesso, a far cucinare la pasta che portavo da casa. Questo era motivo di grande vergogna per me, mi sentivo una bambina diversa. 

E diversa mi ci facevano sentire anche le altre persone: lo percepivo dal modo in cui mi trattavano i bambini, mi prendevano in giro quando vedevano che le mie merende a scuola erano diverse dalle loro, ma soprattutto i genitori. 

Ho dovuto subire l'indelicatezza e l'ignoranza di gente che si sentiva imbarazzata dalla mia situazione, nonostante mia madre spiegasse loro che ero perfettamente in grado di regolarmi da sola e loro non dovevano fare assolutamente niente, se non cercare di mettermi a mio agio. 

La mia vita è stata piuttosto difficile fino a circa diciassette anni, quando i medici che mi avevano in carico presso La Sapienza di Roma hanno ritenuto opportuno liberalizzarmi la dieta. Non avrei più dovuto limitare le quantità, potevo mangiare quello che volevo, ma continuando sempre a prestare attenzione a non esgaerare.

Concludo questo post con un consiglio: non fate mai sentire diversi i bambini e le bambine affetti da questa o altre malattie metaboliche, perchè sono solitamente molto provati dalle limitazioni che devono subire e sono, per questo, molto più sensibili e soffrono tanto quando vengono esclusi o presi in giro. 

Insegnate ai vosti figli a stare loro vicino, non siate voi i primi a puntare il dito o sentirvi in imbarazzo, perchè nella maggior parte dei casi loro si adattano alle diverse situazioni e non dovete andare in ansia se li invitate alla vostra festa di compleanno. 

Oggi, ho scelto di aprire un cassetto di ricordi anche tristi e spiacevoli, perchè spero che il mio racconto possa dare forza e speranza a chi si trova disorientato, disperato o fragile davanti a questa realtà. Non siete soli. 

6/27/22

LitterArt days. Bernardo Bertolucci e "Il conformista" di Alberto Moravia

Nella prima delle tre giornate di LitteArt, esploriamo il legame eterno fra Cinema e Letteratura. L'opera che ho preso in esame è "Il confromista", romanzo di Alberto Moravia, che ha ispirato il capolavoro omonimo del regista Bernardo Bertolucci. 


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Cinema e Letteratura sono due arti legate indissolubilmente, perchè hanno due forze che si completano e si compenetrano: la prima offre alla parola scritta la possibilità di diventare immagine, realizzando concretamente la fantasia di uno scrittore e del suo parterre di lettori. La seconda, però, nasce come poesia, da una suggestione, direttamente dalla fantasia dell'autore. La magia delle parole è quella di  plasmare le descrizioni in modo da farle apparire come immagini. 


Focus: il libro


Uno degli esempi più mirabili di questo connubio è  "Il conformista", romanzo di Alberto Moravia.  Pubblicata nel 1951, questa opera narra del conformismo incarnato dal personaggio di Marcello Clerici, il cui obiettivo è quello di confondersi tra la massa, perchè da sempre si è sentito diverso da essa. Quella dell'integrazione sociale è per lui una vera e propria ossessione. Questo è anche il racconto del viaggio di nozze a Parigi di Michele e Giulia, di un delitto di stato e di un affresco del Ventennio Fascista, epoca in cui   esercitare la propria libertà ha un caro prezzo. Questo romanzo analizza il rapporto fra l'Uomo, inteso come singolo e titolare di una pluralità di diritti, e la società. Un lavoro considerato coraggioso e dalla tematica sempre attuale. 


Il film

Il regista Bernardo Bertolucci ha realzzato il suo primo, grande capolavoro attingendo dalla penna di Moravia. Il film, arrivato nelle sale nel 1970, racconta il clima di violenza e di oppressione perpetrato sui dissidenti. Il conformismo, in questo caso, è rappresentato da una classe borghese che in quel momento è fascista, ma che potrebbe voltare gabbana in fretta, così come alla fine accadrà nel corso della Storia. La scena princpale e più bella del film vede Clerici, spia fascista, e il professor Quadri, rievocare il mito della Caverna di Platone. Gli uomini, secondo questo racconto, sarebbero in grado di scorgere solo le ombre proiettate sulle pareti della caverna, e non le persone che le producono. Una metafora incisiva sull'impossibilità della borghesia di vedere la realtà in cui è immersa. 


Cast: 


Jean Louis Trintignant             Marcello Clerici 

Dominique Sanda                    Anna Quadri 

Stefania Sandrelli                    Giulia

Enzo Tarascio                         Luca quadri 

Piérre Clementi                      Lino Semirama

José Quaglio                           Italo Martorara

Gastone Moschin                   Agente Speciale Manganiello 

Fosco Giacchetti                   Il colonnello

 Alessandro Haber                Il cieco                                 

Giuseppe Addobbati             Antonio, padre di Marcello 

Benedetto Benedetti             Il ministro 

Ivonne Sanson                     madre di Giulia 

Cristiano Alegny                 Roul 





locandina del 1970


6/21/22

Amici di penna: la delusione e le sue conseguenze sui rapporti con gli altri o se stessi

Le delusioni, è vero, fanno parte della vita, ma per quanto ci sforziamo di razionalizzarle sono sempre molto pesanti da accettare, soprattutto quando arrivano da chi non ce l'aspettiamo, come le persone di cui ci fidiamo, o soprattutto da noi stessi. Lagraziadeilibri, oggi, rifletterà sul valore che le delusioni ha nella nostra vita, e come si può riuscire a superarla 


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Quante volte nella vita abbiamo ricevuto (o dato) una delusione? E quante volte ci siamo scoraggiati e abbiamo modificato i nostri comportamenti per evitarla? Inutile dirlo, la delusione è uno dei sentimenti più complicati da elaborare, perchè ha origine sostanzialmente da qualcosa di cui non potremo mai fare a meno, per vivere: l'aspettativa. 

Quando iniziamo un progetto, conosciamo una nuova persona, ci rechiamo in un posto sconosciuto, le categorie mentali che abbiamo appreso nel corso della vita ci spingono a guardare il mondo in una determinata maniera, per cui ci si aspetta che tutto accada come prevediamo, che quella persona si comporti in un certo modo con noi, che la destinazione della nostra vacanza sia meravigliosa. 

Soprattutto per quanto riguarda i rapporti interpersonali, si tende a considerare automaticamente il nuovo arrivato come degno di considerazione o di far parte del gruppo. Quando a qualcuno è accordata questa fiducia sulla parola, in Sociologia viene definito membro bona fide

La natura dell'essere umano concede facilmente, almeno all'inizio, fiducia incondizionata, ma non sempre va come noi vorremmo. Quando quella persona che ci sembrava avere buoni propositi, si comportasse onestamente o aveva promeso fedeltà agisce in un modo diverso, ecco che tutte le aspettative vengono distrutte. 

La delusione nasce da una speranza disattesa, da una fiducia violata. Dopo averne subita una, due, tre, cento, il nostro atteggiamento nei confronti della vita e delle persone cambia. Ciò è innegabile. Ma ci sono persone che, pur traendo insegnamento dalle cosiddette batoste, decidono di ritentare, perchè non tutti i frangenti sono uguali. 

Quando la delusione proviene da se stessi, è naturale supporre che sia frutto di un'educazione svalutante e che puntasse più sulla critica e il disprezzo, comportando  una bassa autostima. 

Ma, allora, come combattere e superare una delusione? 

Bisogna iniziare a modificare il proprio mindset: non tutto andrà sempre in bassa fortuna, farà la differenza il nostro lavoro e, prima o poi, il nostro impegno sarà premiato. Per quanto riguarda le persone, non tutte sono indegne e bisogna chiudersi all'interazione sociale. A dirsi sembra facile, soprattutto dopo un tradimento, ma bisogna pensare che nessuno è immune, e anche noi potremmo essere stati la delusione di qualcuno. 

La delusione verrà superata quando ci si renderà conto che il proprio tempo, le proprie risorse e le proprie qualità valgono molto più di qualunque immeritevole personaggio. E che potremmo dare a tutti l'opportunità di scoprirci e dimostrare la nostra unicità. 


6/10/22

Letteral_mente: La casa della seta, Katye Nunn -recensione-

Ambientato in un collegio della campagna britannica, La casa della seta è stata una lettura piacevole, ma un po' deludente sotto alcuni punti di vista. Perchè? on vi resta che leggere la recensione de Lagraziadeilibri! 



Sinossi 



L'insegnante Thea Rust, al suo arrivo in un esclusivo collegio nella campagna britannica, non ha idea di quello che la aspetta. Da oltre centocinquanta anni, infatti, la "Casa della seta" è un rifugio per ragazze in difficoltà. È un antico edificio dal passato travagliato, dove le ombre nascondono più misteri di quanti lei possa immaginare. Thea ancora non lo sa, ma il suo destino sta per intrecciarsi con la sua storia. È la fine del 1700 e Rowan Caswell lascia il suo villaggio per lavorare nella casa di un mercante di seta inglese. Si tratta di un mondo del tutto nuovo per lei, e il suo talento erboristico attira fin da subito pericolose attenzioni. Negli stessi anni a Londra, Mary-Louise Stephenson sogna di diventare una designer di seta, un lavoro, fino a quel momento, appannaggio degli uomini. Porta con sé uno scampolo di stoffa preziosissima, con un intricato motivo floreale, destinato a cambiare il suo destino.


Recensione 


Descrizioni ricche di particolari, eccellente conoscenza dell'argomento trattato dal punto di vista storico e scientifico e personaggi interessanti, anche se un po' piatti in alcuni frangenti, sono i punti di forza di questo romanzo. Nonostante la storia sia ben intrecciata, vi sono alcuni dettagli che hanno fatto un po' storcere il naso durante la lettura: il primo fra tutti, il più grave a mio avviso, sono gli errori di grammatica
Ebbene sì: un "c'era d'api" al posto di "cera d'api", per giunta dopo le prime pagine del primo capitolo, è un orrore, altrochè. La cosa che più sbigottisce è che si è ripetuto persino una seconda volta. 
Non si tratta di un errore di battitura, che può capitare e sul quale sorvolo, ma una vera e propria lacuna che fa perdere diversi punti alla traduzione italiana, che diventa quindi decisamente traballante. 

Inoltre, la suspence e la tensione hanno un po' latitato, tant'è che sono riuscita a prevedere diverse volte gli eventi raccontati e anche il finale. Lo valuterei, infatti, come un paranormale, ma dai toni piuttosto tiepidi. A mio parere, una storia dal grande potenziale, ma sviluppata in modo piuttosto insufficiente (e parlo dal punto di vista della traduzione: è vero che non è una cosa semplice rendere esattamente le sfumature, ma non si può commettere certi strafalcioni!). 

Altro elemento che mi ha lasciato molta insoddisfazione: il finale. Nonostante il racconto sia stato un po' sottotono e confuso in certi punti, speravo almeno in un finale che lo riscattasse, e invece ha solo confermato tutte le impressioni che mi ero fatta nel corso dei giorni. Sono rimasta inaspettatamente delusa, e ciò raramente mi succede, perchè sono una critica severa ma cerco sempre di vedere anche dei significati nascosti, dei lati affascinanti di un libro, che qui, ahimè, non sono riuscita a cogliere. 

Se lo consiglio? Sì, perchè è una lettura piacevole, dopotutto, ma non aspettatevi il romanzo del secolo. 

Voto: 6

6/07/22

Bookout: libri freschi freschi per un inizio estate rovente!

L'estate è ormai alle porte, fa già tanto caldo ed è tornata la voglia di andare al mare, scoprirsi e... scoprire quali sono le cinque novità editoriali per il mese di giugno selezionate per voi. Libri freschi freschi per una nuova stagione rovente ed emozionante!






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Come vento cucito alla terra, Ilaria Tuti 



 Londra, settembre 1914
«Le mie mani non tremano mai. Sono una chirurga, ma alle donne non è consentito operare. Men che meno a me: madre ma non moglie, sono di origine italiana e pago anche il prezzo dell’indecisione della mia terra natia in questa guerra che già miete vite su vite.
Quando una notte ricevo una visita inattesa, comprendo di non rispondere soltanto a me stessa. Il destino di mia figlia, e forse delle ambizioni di tante altre donne, dipende anche da me. Flora e Louisa sono medici, e più di chiunque altro hanno il coraggio e l’immaginazione necessari per spingere il sogno di emancipazione e uguaglianza oltre ogni confine.

L’invito che mi rivolgono è un sortilegio, e come tutti i sortilegi è fatto anche d’ombra. Partire con loro per aprire a Parigi il primo ospedale di guerra interamente gestito da donne è un’impresa folle e necessaria. È per me un’autentica trasformazione, ma ogni trasformazione porta con sé almeno un tradimento. Di noi stessi, di chi ci ama, di cosa siamo chiamati a essere.
A Parigi, lontana dalla mia bambina, osteggiata dal senso comune, spesso respinta con diffidenza dagli stessi soldati che mi impegno a curare, guardo di nuovo le mie mani. Non tremano, ma io, dentro di me, sono vento.»
Questa è la storia dimenticata delle prime donne chirurgo, una manciata di pioniere a cui era preclusa la pratica in sala operatoria, che decisero di aprire in Francia un ospedale di guerra completamente gestito da loro. Ma è anche la storia dei soldati feriti e rimasti invalidi, che varcarono la soglia di quel mondo femminile convinti di non avere speranza e invece vi trovarono un’occasione di riabilitazione e riscatto.
Ci sono vicende incredibili, rimaste nascoste nelle pieghe del tempo. Sono soprattutto storie di donne. Ilaria Tuti riporta alla luce la straordinaria ed epica impresa di due di loro.





Il duca, Matteo Melchiorre



Un paese di montagna, un'antica villa con troppe stanze, l'ultimo erede di un casato ormai estinto, lo scontro al calor bianco tra due uomini che non sembrano avere nulla in comune... Quanto siamo fedeli all'idea di noi stessi che abbiamo ricevuto in sorte? Matteo Melchiorre ha costruito una storia tesissima ed epica sulla furia del potere, le leggi della natura e la libertà individuale. Un romanzo che ci interroga a ogni riga sulla forza necessaria a prendere in mano il proprio destino: «il modo giusto per liberarsi del passato non è dimenticarlo, ma conoscerlo». L'ultimo erede di una dinastia decaduta, i Cimamonte, si è ritirato a vivere nella villa da sempre appartenuta alla sua famiglia. La tenuta giganteggia su Vallorgàna, un piccolo e isolato paese di montagna. Il mondo intorno, il mondo di oggi, nel quale le nobili dinastie non importano più a nessuno, sembra distante. L'ultimo dei Cimamonte è un giovane uomo solitario che in paese chiamano scherzosamente «il Duca». Sospeso tra l'incredibile potere del luogo, il carico dei lavori manuali e le vecchie carte di famiglia si ritrova via via in una quiete paradossale, dorata, fuori dal tempo. Finché un giorno bussa alla sua porta Nelso, appena sceso dalla montagna. È lui a portargli la notizia: nei boschi della Val Fonda gli stanno rubando seicento quintali di legname. Inaspettatamente, risvegliato dalla smania del possesso, il sangue dei Cimamonte prende a ribollire. Ci sono libri che fin dalle prime righe fanno precipitare il lettore in un mondo mai visto prima. L'abilità dell'autore sta nel mimetizzarsi tra le pieghe della storia, e fare in modo che abitare accanto ai personaggi risulti un gesto tanto istintivo quanto inevitabile. È quello che accade leggendo Il Duca, un romanzo classico eppure nuovissimo, epico e politico, torrenziale e filosofico, che invita a riflettere sulla libertà delle scelte e la forza irresistibile del passato. Con una voce colta e insieme divertita, sinuosa e ipnotica – inusuale nel panorama letterario nostrano – Matteo Melchiorre mette a punto un congegno narrativo dal quale è impossibile staccarsi.


Saffo, la rgaazza di Lesbo, Silvia Romani





Migliaia d'anni di naufragi e salvataggi, di letture e di riscritture, e ora Saffo è lì, a un tocco di mano, dove sbattono le vele delle navi, si gonfiano i tessuti leggeri che indossano le sue compagne, e profumano i giardini. Silvia Romani ha scritto un «viaggio sottopelle» verso la prima e la più grande poetessa della letteratura occidentale e ciò che di lei non muore. Un ritratto che forse alla ragazza di Lesbo sarebbe piaciuto: credeva che non ci fosse niente di più bello di «ciò che si ama», nemmeno le parate di navi, eserciti e cavalieri. Lei che amava la luna più del sole, le rose più di qualsiasi altro fiore e Afrodite sopra ogni cosa. Saffo è stata una ragazza di Lesbo, una figlia e una madre. Ha diretto cori di giovani coetanee, ha insegnato loro a cantare e a danzare. Forse ha persino sussurrato al riparo delle stanze chiuse i segreti del piacere femminile. Ha educato alla bellezza le signorine bene nella Lesbo della fine del VII secolo a.C. È stata omosessuale, bisessuale, persino un'icona LGBT. Poi ha dichiarato di non voler più vivere, e si è tuffata dalla rupe bianca di Leucade, innamorata perdutamente di un uomo, il barcaiolo Faone. Ha insegnato a generazioni di giovani scrittrici il coraggio di far sentire la propria voce. La sua leggenda, nata quando era ancora in vita, si è nutrita delle ombre e dei vuoti che circondano i frammenti arrivati sino a noi e alimentato una inesauribile fioritura di interpretazioni letterarie e artistiche. In questo volume Silvia Romani accompagna il lettore nelle vie di Lesbo, nei giorni in cui una ragazza di buona famiglia scopre una vocazione e uno straordinario destino. "Saffo, la ragazza di Lesbo" è un suggestivo, coinvolgente omaggio all'incanto dei suoi versi, fatti di lune metafisiche, notti profumate di rose, nostalgia per la giovinezza che fugge; e alla fascinazione che non smette di esercitare sugli autori e gli artisti d'ogni tempo e paese.



Almarina, Valeria Parrella 



Esiste un'isola nel Mediterraneo dove i ragazzi non scendono mai a mare. Ormeggiata come un vascello, Nisida è un carcere sull'acqua, ed è lì che Elisabetta Maiorano insegna matematica a un gruppo di giovani detenuti. Ha cinquant'anni, vive sola, e ogni giorno una guardia le apre il cancello chiudendo Napoli alle spalle: in quella piccola aula senza sbarre lei prova a imbastire il futuro. Ma in classe un giorno arriva Almarina, allora la luce cambia e illumina un nuovo orizzonte. Il labirinto inestricabile della burocrazia, i lutti inaspettati, le notti insonni, rivelano l'altra loro possibilità: essere un punto di partenza. Nella speranza che un giorno, quando questi ragazzi avranno scontato la loro pena, ci siano nuove pagine da riempire, bianche «come il bucato steso alle terrazze». Questo romanzo limpido e intenso forse è una piccola storia d'amore, forse una grande lezione sulla possibilità di non fermarsi. Di espiare, dimenticare, ricominciare. «Vederli andare via è la cosa più difficile, perché: dove andranno. Sono ancora così piccoli, e torneranno da dove sono venuti, e dove sono venuti è il motivo per cui stanno qui».



Canoe, Maylis de Kerangal





Ho concepito "Canoe" come un romanzo in otto atti: al centro Mustang, romanzo breve, e intorno, come satelliti, sette racconti. Tutti si parlano, tutti sono collegati tra loro, e partono dallo stesso desiderio: sondare la natura della voce umana. Ho voluto intercettare una frequenza, cogliere un soffio, tenere una nota nel corso di tutto un libro dedicato a una tribù di donne. Donne di tutte le età, solitarie, sognatrici, volubili, ossessionate, o marginali. Sono loro che occupano tutto lo spazio. Soprattutto ho voluto andare in cerca della mia voce tra le loro, farla sentire nel modo migliore, trovare un ‘io’ più vicino.” Le voci ci guidano, ci confortano, sono onnipresenti, le voci sono tutto, provate a chiudere gli occhi e a concentrarvi e ve ne accorgerete. Come agili canoe dei grandi laghi, le voci delle donne che attraversano questi otto racconti di Maylis de Kerangal compongono un originalissimo romanzo della voce umana.





6/06/22

Amici di penna. Il malessere che ti impedisce di vivere

Questa volta scriverò in prima persona, perchè non c'è nulla di male a parlare del motivo per cui avevo deciso di abbandonare tutto, persino me stessa. Sì, sto parlando di un profondo malessere che mi sta impedendo da molto tempo di vivere in maniera serena. 





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Questo post è molto, molto personale. Come sapete, per diversi mesi ho interrotto la mia attività sulla pagina, e proverò a spiegare perchè. Ho scelto di raccontare del malesesere emotivo che mi sta affliggendo, in modo che le persone che ne hanno sofferto attualmente, o in passato, possano sentirsi comprese. 

Tutto si è acuito  durante il periodo delle prime Zone Rosse in Campania, poichè la genesi ha radici profonde e lontane. Complici le restrizioni e la possibilità di uscire se non per necessità, ho cominciato ad abbandonarmi. Apatia, tristezza e disperazione erano le emozioni che mi sopraffacevano. Flagellata da ruminazioni mentali e pensieri ossessivi, le mie energie vitali si prosciugavano lentamente. 

Passavo interi pomeriggi, ma anche le giornate sdraiata sul letto, con la coperta addosso, a fissare il soffitto, aggrappata ai miei ricordi del passato: momenti di nostalgia per quello che avevo fatto ed ero stata, o di periodi spensierati in cui la mia sola preoccupazione era uscire. Volevo disperatamente tornare indietro, mi ero resa conto di essere stata felice. 

Un dolore pernicioso mi scavava dentro, soprattutto quando prospettavo scenari di mestizia per il mio futuro: non avrei mai trovato lavoro, sarei finita a fare la badante dei miei genitori, ad accontentarmi di un piccolo budget mensile per le mie necessità. Sarei rimasta sola, a guardare il mio passato glorioso come un atleta sulla soglia del ritiro. Tutti i miei piccoli successi, i miei sacrifici, i miei momenti di insignificante felicità sarebbero rimasti cristallizzati per sempre, uccidendomi. 

Pensai che fino a quel momento tutto era stato una grande corsa a ostacoli, un'escalation di aspettative, sogni e speranze che mi avevano tenuta viva, in un idealismo che, a ben guardare oggi, mi fa quasi tenerezza. La mia linfa vitale era il sogno, quella frenesia della scoperta che qualche cosa i sarebbe palesata, prima o poi, e che avrebbe posto fine a tutte le mie preoccupazioni. 

Ma ho capito che per me non ci sarebbe stato futuro.

Avevo perso interesse per qualunque attività, anche a casa. Mi sentivo morta dentro, disillusa, amareggiata. Avevo iniziato a dormire qualche volta anche in pieno giorno. So che questa è una confessione un po' pesante, ma poco prima di farlo pregavo spesso di non riaprire più gli occhi. Ero stanca di combattere per delle cose che, in trentaquattro anni, non erano mai arrivate. Oppure, erano scivolate via contro la mia volontà. 

Non sono una psicoterapeuta, pertanto non mi faccio autodiagnosi come depressione, ma sicuramente bene non sto. Tuttora sono soggetta a forti fluttuazioni dell'umore. Per quanto riguarda la cura, in questa regione o vai dai privati, che costano l'ira di Dio, oppure ti metti in lista alla ASL per delle sedute prescritte dal medico di base, ma c'è una mancanza di strutture e tutela della salute mentale che fa rabbrividire. Io non ho potuto accedere perchè era già tutto prenotato, e un altro centro è troppo lontano da dove vivo. Non posso avere un aiuto professionale perchè non me lo posso permettere, e non mi vergogno a dirlo. 

Non esiste la cultura del benessere mentale, la figura dello psicologo è sottoposta a un forte stigma sociale e le persone che vanno in terapia vengono etichettate come pazze o malate. In questa società - fatta di persone giudicanti - va tutto bene e sei senza colpa fintantochè ti si ammala il corpo. Se inizi a manifestare  disagio psichico diventi quella debole, esagerata, che vuol fare la vittima. La panacea è che devi essere positiva, sorridere sempre, pensare che ci sono persone che stanno pegigo di te. Ti obbligano a una positività tossica, perchè il dolore disturba gli altri. Preferiscono non affrontarlo.

Se stai male nessuno deve accorgersene, perchè la tua sofferenza ricorda loro costantemente che ogni successo può sgretolarsi, tornare nell'anonimato e perdere in un colpo solo tutto. Questo è inaccettabile in una società dove c'è un estremo bisogno di sentirsi forti e vincenti e l'ansia che ne consegue è considerata uno status irrinunciabile, da esibire come un Rolex.

Lo sanno tutti, ma fanno finta di niente. 

 

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