6/06/22

Amici di penna. Il malessere che ti impedisce di vivere

Questa volta scriverò in prima persona, perchè non c'è nulla di male a parlare del motivo per cui avevo deciso di abbandonare tutto, persino me stessa. Sì, sto parlando di un profondo malessere che mi sta impedendo da molto tempo di vivere in maniera serena. 





Ph. Pixabay


Questo post è molto, molto personale. Come sapete, per diversi mesi ho interrotto la mia attività sulla pagina, e proverò a spiegare perchè. Ho scelto di raccontare del malesesere emotivo che mi sta affliggendo, in modo che le persone che ne hanno sofferto attualmente, o in passato, possano sentirsi comprese. 

Tutto si è acuito  durante il periodo delle prime Zone Rosse in Campania, poichè la genesi ha radici profonde e lontane. Complici le restrizioni e la possibilità di uscire se non per necessità, ho cominciato ad abbandonarmi. Apatia, tristezza e disperazione erano le emozioni che mi sopraffacevano. Flagellata da ruminazioni mentali e pensieri ossessivi, le mie energie vitali si prosciugavano lentamente. 

Passavo interi pomeriggi, ma anche le giornate sdraiata sul letto, con la coperta addosso, a fissare il soffitto, aggrappata ai miei ricordi del passato: momenti di nostalgia per quello che avevo fatto ed ero stata, o di periodi spensierati in cui la mia sola preoccupazione era uscire. Volevo disperatamente tornare indietro, mi ero resa conto di essere stata felice. 

Un dolore pernicioso mi scavava dentro, soprattutto quando prospettavo scenari di mestizia per il mio futuro: non avrei mai trovato lavoro, sarei finita a fare la badante dei miei genitori, ad accontentarmi di un piccolo budget mensile per le mie necessità. Sarei rimasta sola, a guardare il mio passato glorioso come un atleta sulla soglia del ritiro. Tutti i miei piccoli successi, i miei sacrifici, i miei momenti di insignificante felicità sarebbero rimasti cristallizzati per sempre, uccidendomi. 

Pensai che fino a quel momento tutto era stato una grande corsa a ostacoli, un'escalation di aspettative, sogni e speranze che mi avevano tenuta viva, in un idealismo che, a ben guardare oggi, mi fa quasi tenerezza. La mia linfa vitale era il sogno, quella frenesia della scoperta che qualche cosa i sarebbe palesata, prima o poi, e che avrebbe posto fine a tutte le mie preoccupazioni. 

Ma ho capito che per me non ci sarebbe stato futuro.

Avevo perso interesse per qualunque attività, anche a casa. Mi sentivo morta dentro, disillusa, amareggiata. Avevo iniziato a dormire qualche volta anche in pieno giorno. So che questa è una confessione un po' pesante, ma poco prima di farlo pregavo spesso di non riaprire più gli occhi. Ero stanca di combattere per delle cose che, in trentaquattro anni, non erano mai arrivate. Oppure, erano scivolate via contro la mia volontà. 

Non sono una psicoterapeuta, pertanto non mi faccio autodiagnosi come depressione, ma sicuramente bene non sto. Tuttora sono soggetta a forti fluttuazioni dell'umore. Per quanto riguarda la cura, in questa regione o vai dai privati, che costano l'ira di Dio, oppure ti metti in lista alla ASL per delle sedute prescritte dal medico di base, ma c'è una mancanza di strutture e tutela della salute mentale che fa rabbrividire. Io non ho potuto accedere perchè era già tutto prenotato, e un altro centro è troppo lontano da dove vivo. Non posso avere un aiuto professionale perchè non me lo posso permettere, e non mi vergogno a dirlo. 

Non esiste la cultura del benessere mentale, la figura dello psicologo è sottoposta a un forte stigma sociale e le persone che vanno in terapia vengono etichettate come pazze o malate. In questa società - fatta di persone giudicanti - va tutto bene e sei senza colpa fintantochè ti si ammala il corpo. Se inizi a manifestare  disagio psichico diventi quella debole, esagerata, che vuol fare la vittima. La panacea è che devi essere positiva, sorridere sempre, pensare che ci sono persone che stanno pegigo di te. Ti obbligano a una positività tossica, perchè il dolore disturba gli altri. Preferiscono non affrontarlo.

Se stai male nessuno deve accorgersene, perchè la tua sofferenza ricorda loro costantemente che ogni successo può sgretolarsi, tornare nell'anonimato e perdere in un colpo solo tutto. Questo è inaccettabile in una società dove c'è un estremo bisogno di sentirsi forti e vincenti e l'ansia che ne consegue è considerata uno status irrinunciabile, da esibire come un Rolex.

Lo sanno tutti, ma fanno finta di niente. 

 

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