Psyché. Secondo ciclo di psicoterapia: i traguardi raggiunti e quelli da superare
Sono ormai giunta al secondo ciclo di psicoterapia, dopo circa tre mesi di incontri. Come già spiegato nei precedenti post della rubrica, si tratta di un percorso molto impegnativo dal punto di vista emotivo, ma mi sta davvero aiutando tanto. Condivido con voi i miei progressi
Proseguo a grandi passi verso la guarigione. Sono passati ormai tre mesi da quando ho iniziato la psicoterapia, e sono arrivata al secondo ciclo. In questo momento, gli incontri sono diventati meno frequenti -due al mese- e stiamo arrivando davvero al cuore della mia vita.
Il resoconto di questi primi tre mesi è stato decisamente positivo. Mi sono resa conto che la figura del terapeuta è essenziale e, talvolta, debba condurti per mano dentro te stessa perché sì, questo viaggio può essere incomprensibile e spaventoso.
Ho cominciato a parlare in maniera libera di ciò che mi affligge e ho scoperto cose spiacevoli, come di avere una ferita emotiva profonda. Ho dovuto affrontare un ricordo doloroso che avevo parzialmente cancellato e mi aveva causato un trauma, scavare nei miei abissi per capire l'origine di alcuni miei comportamenti, e mettere in pratica strategie per sbloccarli. Soprattutto, devo imparare a essere gentile con me stessa, migliorare il dialogo interiore, perché mi tratto ancora in maniera severa e giudicante.
Tutto ciò causa un enorme dispendio di energie. Difatti, mi capita spesso di sentirmi fisicamente stanca dopo una seduta, ed è normale. Però, naturalmente, ci sono stati anche dei significativi progressi: riesco a gestire meglio l'ansia, cioè quando sento che monta dentro cerco di calmarmi e rilassarmi da sola, rivolgendomi parole gentili e concentrandomi sul contesto, il famoso qui e ora, piuttosto che farmi travolgere da pensieri catastrofici.
Cerco di trovare soluzioni agli imprevisti, piuttosto che arrabbiarmi perché qualcosa non è andato secondo i miei piani. Sto imparando che non si può controllare tutto, nè gli eventi nè le persone e, anche se a volte la tolleranza mi risulta difficile, sono molto più elastica nella gestione della quotidianità.
Ho avuto modo di provare a superare la paura dell'autonomia. Sembra una stupidaggine, ma per me essere indipendente era una grande fonte d'ansia, perché sono stata educata a temere le conseguenze, a vederle come delle mannaie che si abbattevano sulle mie decisioni, e allora ero terrorizzata all'idea di sbagliare. Questo, per me, è ancora uno zoccolo duro, perché ci sono alcune circostanze che mi mettono in atto un meccanismo di resistenza al cambiamento.
Quando ho momenti di crisi, tracolli emotivi e mi sembra di regredire (sì, capita anche questo), penso che devo imparare ad avere pazienza, poiché questi sono dei processi delicati che richiedono tempo. Anche questo fa parte del mio cammino: smettere di pretendere risultati immediati e perfetti da me stessa.
A volte, mi fermo e penso al quanto io sia stata potente: in un momento in cui mi sentivo sprofondare, ho avuto la forza di tendere una mano per chiedere aiuto, e ho fatto praticamente tutto da sola: ho prenotato la prima visita psichiatrica, ho iniziato a prendere l'antidepressivo, ho cercato in ogni modo di cambiare assetto mentale, essere quella persona che avevo sempre desiderato.
Purtroppo, non sempre ho avuto il sostegno che meritavo: nella mia famiglia avevano sottovalutato il problema, gran parte dei miei parenti non sa che mi sono ammalata. Il fatto che abbiano voluto tenerlo nascosto mi ferisce, perché vuol dire che è motivo di vergogna. Ed è per questo che ho iniziato a scrivere, ho pensato a questa rubrica: bisogna parlare di salute mentale, abbattere lo stigma sociale.
Ora, mi volto indietro e vedo quanta strada ho già percorso, quanto dolore ho sopportato e quanta gioia ho provato, quando ho cominciato a stare meglio. E, il mio orgoglio più grande, è proprio quello di essere riuscita a salvarmi da sola.
Non abbiate vergogna di chiedere aiuto: è il gesto d'amore più grande che possiate fare per voi stessi!
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