Letteral_mente. L'isola dove volano le femmine -recensione-

Alicundi, Sicilia. Una storia che profuma di pane, sudore, tradizioni e rivoluzione socialista. Caterina è una protagonista che parla poco e osserva, e vorrebbe farla lei, questa rivoluzione, unendosi alle majare, le femmine che volano. Esistono davvero o sono allucinazioni provocate dal grano guasto? La Grazia dei libri vi porta alla scoperta del romanzo d'esordio di Marta La Malfa, "L'Isola dove volano le femmine" (Neri Pozza Editore) 






 Sinossi 



Alicudi, 1903. Caterina guarda il corpo gelido e duro come una crosta di pane di Maria, la sua gemella, e pensa che ora la vita cambierà per sempre. Era Maria a scegliere per lei i pensieri giusti da pensare, e adesso chi lo farà al suo posto? Se l’è portata via un male cattivo e tutti in famiglia – dalla bisnonna che non ci vede più bene ma capisce tutto, a Palmira, la madre che ha per la quarta volta un bambino in pancia ma ha perso la testa per il dolore – pensano sia colpa di Ferdinando, che sconta una pena al Castello di Lipari, e vuole fare la rivoluzione. Ora che Maria non c’è più, anche se la stanza di Caterina si è allargata, la vita è diventata molto più stretta: lavora nei campi di don Nino fino al tramonto, consegna le acciughe sotto sale e aiuta la mamma con le fatiche di casa, aspettando il suo giorno preferito, quello in cui tutti si riuniscono per impastare il pane. Da qualche tempo, però, alle spighe di segale dell’isola sono spuntati dei piccoli corni neri come il carbone, tizzonare le chiamano. All’inizio non s’erano fidati a mangiare quel pane aspro, ma ora non c’è altro, così anche Caterina butta giù quei morsi duri che hanno l’odore della morte. Forse però in quei bocconi grami c’è la chiave per scappare da un presente sempre più solitario e amaro, e raggiungere le majare, le streghe che vivono sull’isola e si librano in cielo, libere nell’ala scura della notte. Caterina non lo sa, ma non è l’unica a vedere cose che poi sfumano nella nebbia. Per lei, come per tutti i settecentotredici arcudari, verrà il momento di scegliere tra la realtà e il sogno. Con una lingua originale e antica, Marta Lamalfa riporta alla luce un fatto storico dimenticato e ci trasporta in una terra battuta dal vento, minuscola eppure universale.



Recensione



Una Sicilia agreste e ruvida dei primi del Novecento, una famiglia nota ad Alicundi come gli Iatti (i gatti), chiamati così per le disgrazie che, loro malgrado, hanno subito. La prima è la morte della loro figlia Maria, gemella di Caterina, che si pensava fosse stata disonorata da Ferdinando. Caterina, per diverso tempo, vivrà all'ombra della sorella, tutti godranno della sua somiglianza, un sollievo che aiuta loro a elaborare il lutto.

Attraverso gli occhi di questa ragazza si dipana uno scenario di fame e povertà, ma anche orgoglio, come quello per il fratello Nardino, considerato non buono per il lavoro in campagna e mandato a scuola, e poi ritirato perché il suo difetto alla vista viene scambiato per ennesima inettitudine. In realtà, il ragazzino aveva solo bisogno di un paio di occhiali. 
                                                                                                         
Poi  c'è Saverio, innamorato di Maria Grazia, il tipico amore d'altri tempi inizialmente contrastato dalla famiglia di lei. Un amore che bruciava nei loro sguardi, nei loro silenzi, e che poi alla fine esplode in una rivoluzione. 

La rivoluzione è un altro concetto chiave del romanzo. 

Sono i tempi del Socialismo, dei latifiondisti, delle proteste per ricevere l'assegnazione di più terra, ma non è qualcosa che si delimita alla politica. Tutti i personaggi, a cominciare dalla stessa Caterina, desiderano rivoluzionare in meglio la propria esistenza.  Lei ha scoperto le Majare, delle streghe che, secondo la tradizione, popolano l'isola, che però si possono vedere solo di notte e compiono magie, tra cui quella di riuscire a volare. 

Non sa se è colpa dei funghi velenosi nel grano delle tizzonare, con cui si prepara il pane, che lei crede di vedere la sua vicina Calòria spiccare il volo insieme ad altre donne coperte di un unguento, ma sente dentro il bisogno di unirsi a loro. E non si sa se effettivamente questo pane nero dal sapore amaro abbia provocato allucinazioni, ma ognuno dei personaggi ha visto ciò di cui necessitava. 

Una storia dal sapore antico, e da un linguaggio affascinante come lo sanno essere solo le cose antiche: la sintassi è decisamente lontana dal lessico letterario contemporaneo, pieno di aggettivi e allegorie pompose, ma è scarno come la fame, ha metafore fatte di parole semplici come il pane, ma più efficaci delle espressioni artificiose, che fa calare il lettore nell'atmosfera. 



Consigliatissimo, se ti piace leggere per ritornare al passato e le storie familiari. 

Voto: 8


                                                                                                           


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