6/16/21

Cent'anni di solitudine -Recensione-

 La recensione di un libro bellissimo, forse il più celebre di Gabriel Garcia Marquèz, Premio Nobel per la Letteratura. Buona lettura! 




CENT’ANNI DI SOLITUDINE


SINOSSI:


José Arcadio Buendía, patriarca di una stirpe numerosa e tribolata, abbandona il villaggio nativo per sfuggire a un fantasma che lo perseguita. Dopo un lungo viaggio in compagnia della moglie Ursula, all’epoca incinta del primo figlio e terrorizzata all’idea di partorire un bambino con la coda di maiale frutto di un amore incestuoso, approda nel luogo in cui fonderà “un paese felice, dove nessuno aveva più di trent’anni e dove non era morto nessuno”. 
Lì Ursula darà alla luce Aureliano, “il primo essere umano nato a Macondo”, futuro colonnello leggendario, che guiderà la rivoluzione liberale e combatterà trentadue guerre perdendole tutte, e che terminerà la sua vita rinchiuso nel suo laboratorio, a fabbricare pesciolini d’oro per poi fonderli e ricominciare daccapo, assecondando il vizio ereditario della famiglia di fare per disfare.
 Col passare del tempo, si succederanno, con una tenace se non ostinata ripetizione dei nomi, vari José Arcadio e vari Aureliano, tutti diversi eppure simili tra loro, e tutti ineluttabilmente condannati a un destino di solitudine. Fin quando l’ultimo Aureliano, il primo e solo padre dell’animale mitologico, un bambino con la coda di maiale, non decifrerà le misteriose pergamene dello zingaro Melquíades...
Fonte: Mangialibri

RECENSIONE:


Romanzo più celebre e fortunato di Gabriel Garcia Màrquez, nonché vincitore di un Premio Nobel per la Letteratura, merita sicuramente uno spazio in questa rubrica. Il suo “realismo magico” che ha permeato questa saga familiare a sfondo storico, ambientato in una cittadina immaginaria del Sud America, è stato forse l’elemento trainante, che più mi ha appassionato. 
I personaggi, tutti accomunati dalla paura della solitudine, che cercano di scacciare ognuno a proprio modo, sono tratteggiati in maniera profonda, viene fatta luce sui tratti spigolosi delle loro personalità, alcune torbide, ma straordinariamente umane. 
Purtroppo, quella solitudine che cercano di scongiurare permea le loro vite, nei loro rapporti con gli altri, in quella disperata esigenza di lasciare nel mondo qualcosa di sé, come dimostra l’usanza di crescere una figliolanza con lo stesso nome del patriarca, Josè Aureliano Buendia. 
La fa da padrona anche Ursula, sua moglie, che vede crescere e morire molti dei suoi figli e nipoti ed è forse la più sofferente di tutti. La paura di essere soli al mondo, di non bastare a se stessi, porta a decisioni scellerate, oppure a immolarsi, come accade ad Amaranta, che si punisce condannandosi a un’esistenza senza amore. 
Da questo romanzo essuda una malinconia lancinante, accentuata da un biasimo di natura biblica che terrorizza i protagonisti, quasi come un monito della loro natura debole. Appena terminata la lettura, ho sentito una mestizia pungermi dentro come una spina, e percepivo l’urgenza di verbalizzare i miei stati d’animo. Forse, questo è stato uno dei romanzi che ha colpito quella parte di me che deve fare i conti con la sua, di solitudine.

Nessun commento:

Posta un commento

Ti piace il mio blog? Seguimi anche su Facebook https://www.facebook.com/GraziaDeg87

Amici di penna: perchè lo scrittore non viene mai preso sul serio?

Nonostante molti non ci prendano sul serio, scrivere per noi è un lavoro. Il fatto che proprio nella patria di Dante Alighieri e altri illus...