6/16/21

L'eleganza del riccio -Recensione-

 



Libro apparentemente noioso, ha saputo mano a mano coinvolgermi con dei piccoli imprevisti e, soprattutto, un finale drammatico e ad effetto. Andiamo alla scoperta di Muriel Barbery. 

L’ELEGANZA DEL RICCIO


Sinossi:

Siamo a Parigi in un elegante palazzo abitato da famiglie dell’alta borghesia. Dalla sua guardiola assiste allo scorrere di questa vita di lussuosa vacuità la portinaia Renée, che appare in tutto e per tutto conforme all’idea stessa della portinaia: grassa, sciatta, scorbutica e teledipendente. Invece, all’insaputa di tutti, Renée è una coltissima autodidatta, che adora l’arte, la filosofia, la musica, la cultura giapponese. Poi c’è Paloma, la figlia di un ministro ottuso; dodicenne geniale, brillante e fin troppo lucida che, stanca di vivere, ha deciso di farla finita (il 16 giugno, giorno del suo tredicesimo compleanno, per l’esattezza). Fino ad allora continuerà a fingere di essere una ragazzina mediocre e imbevuta di sottocultura adolescenziale come tutte le altre. Due personaggi in incognito, quindi, diversi eppure accomunati dallo sguardo ironicamente disincantato, che ignari l’uno dell’impostura dell’altro si incontreranno solo grazie all’arrivo di monsieur Ozu, un ricco giapponese, il solo che saprà smascherare Renée e il suo antico, doloroso segreto.


Recensione

Libro apparentemente cinico, ammantato di disillusione, che potrebbe calarsi perfettamente nel contesto attuale, poiché esalta il culto dell’apparenza e di una vita opulenta, ma vuota. Quel velo di perbenismo ipocrita di cui si ricopre la ricca borghesia, attenta al giudizio altrui e alle maniere affettate, che sono anche simbolo di un’appartenenza di classe, viene strappato da Renèe, la grassa e pigra portinaia, che in realtà è una donna colta e piena di interessi, e Paloma, nata in una famiglia ricca, che pensa a tutt’altro che alla ricchezza.

 Il suo non è un ordinario turbamento adolescenziale, ma un nichilismo doloroso e straordinariamente precoce, che la spinge addirittura a programmare il suo suicidio. Ammetto che, a inizio lettura, ho trovato questo accostamento eccessivamente melodrammatico, e ho giudicato questa ragazzina piuttosto irritante nei suoi sfoghi, ma ho commesso un grande errore.

 Anch’io, come tutti gli altri personaggi del libro, l’ho sottovalutata e non compresa. Ciononostante, mi sento empaticamente più vicina alla portinaia, forse perché ha dei tratti di personalità che mi ricordano me. Mi faceva tenerezza, ho provato quasi compassione.

 Quando le due si conoscono tutto il racconto, che fino a quel momento sembra una cronaca di una noiosa routine borghese, acquista un nuovo senso. L’escalation di intensità della trama, che parte piuttosto lenta, culmina con un finale molto triste, che mi ha lasciato l’amaro in bocca per giorni. Sembra una storia leggera, ma in realtà offre diversi spunti di riflessione sulla parvenza delle persone, che non sempre sono quello che vediamo, ma anche sulle piccole manie e le pretese che abbiamo per consolarci, come una sorta di contentino, poiché cerchiamo qualcosa che non riusciamo a trovare in questa realtà così artefatta.

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