Amici di penna. La vita è una questione di scelta, ma quanto è difficile fare quella giusta?

Nella vita, l'unico modo per cercare di far accadere (o no) qualcosa, è scegliere. C'è poco da fare: chi risica non rosica! Se è giusto seguire le proprie inclinazioni per costruire il proprio futuro, è anche concreto il rischio di andare incontro a rinunce, rimpianti e pentimenti


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A volte, nella vita ci sentiamo  immobili, nonostante tutti i tentativi che facciamo per smuoverci dal ristagno. Ogni volta una delusione, poi un nuovo tentativo, la speranza, e infine sempre e solo delusioni. Dopo un po' è normale volersi fermare, perché il pensiero di dover sopportare un nuovo fallimento è veramente frustrante. 

Questo è ciò che sta succedendo a me: dopo la prospettiva di un nuovo lavoro, un guadagno tutto per me, ho dovuto arretrare davanti all'evidenza che quell'attività proprio non faceva per me. Sono seguiti rabbia, senso di colpa, scoraggiamento. Avrei voluto con tutto il cuore riuscire a adattarmi, anche se sapevo che non sarebbe stato un lavoro definitivo. L'idea di continuare in un ambiente disagevole, con quelle regole che andavano contro i miei principi, mi atterriva. 

Dopo questa nuova, spiacevole esperienza, ho iniziato a riflettere, e a parlarne anche col il mio terapeuta. Nella vita, è tutta una questione di scelta: nel proseguire nella ricerca di una occupazione, oppure accontentarsi di una vita dipendendo economicamente da qualcun altro. Di adattarti a un lavoro che non ti piace, ma ti dà un guadagno che ti consente autonomia, oppure vivere in base a dei principi che implicano una selezione. Ognuno di noi traccia un suo percorso e, appunto, sceglie di seguirlo e regolarsi di conseguenza. 

Se è giusto seguire le proprie inclinazioni per costruire il proprio futuro, è anche concreto il rischio di andare incontro a rinunce, rimpianti e pentimenti. Però, ho capito una cosa importante: qualunque siano le tue scelte, se sarai tu ad averle compiute, andrà bene così. Hai fatto del tuo meglio con le possibilità che avevi: ci sono variabili che non si possono controllare, e se lo accetti eviterai di distruggerti e colpevolizzarti. 

Infine c'è un ultimo, importante punto snocciolato e che, in buona parte, costituiva motivo di disperazione per me: non si può essere il proprio lavoro, ma fare un lavoro. Volevo una professione che mi rappresentasse, mi facesse conoscere e che riflettesse i miei valori, ma lo psicologo mi ha spiegato che si è anche altro: una persona ha altri interessi e obiettivi nella vita, e quindi identificarsi nel proprio lavoro è un concetto deleterio. 

Che sia stato questo pensiero il fulcro del mio crollo mentale? 

Non so se riuscirò a realizzare il mio sogno di una vita tutta mia, ma più passano gli anni e più mi rendo conto che, in parte, la responsabilità per fare sì che accada (oppure no) è mia. 



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