Amici di penna. L'arrendevolezza dei forti: perchè si sceglie di mollare?

 "Non arrenderti mai!" sembra una di quelle frasi motivazionali perfette per quando attraversiamo un momento difficile o stiamo cercando di raggiungere un obiettivo, e va benissimo dirla o sentirsela dire. Ma ci sono delle circostanze in cui l'accanimento e la pretesa di essere sempre in prima linea e apparire forti devono avere fine. A volte bisogna arrendersi e no, non è una cosa da deboli mollare perchè non ce la facciamo più 


Ph.Pixabay



Non sempre andare avanti a oltranza, cercare di mostrarsi forti e testardi si rivela la soluzione migliore quando stiamo cercando di raggiungere un obiettivo, o attraversiamo un momento difficile. Il famoso incitamento "Non mollare mai!" è sicuramente pronunciato con le migliori intenzioni, ma è molto insidioso e addirittura tossico, in alcuni frangenti. 
Molti ora protesteranno, pensando che anche questa sia un'ennesima censura politically correct, concetto molto caro (giusto, di base) e strumentalizzato, ma invece è soltanto il riflesso del pensiero di una società in cui non è posibile fermarsi, dimostrare debolezza, ammalarsi, fallire. 
Quando passi una vita a lottare per quello che meriti e lo ottieni con molta fatica, oppure lo strappi dalla mano di chi te lo nega, arrivi a un punto in cui le tue energie fisiche e psichiche crollano. Il desiderio è quello di cedere facilmente la ragione a chi la vuole, allo scopo di trovare quella serenità che hai sacrificato in nome del senso di giustizia che sempre meno persone mettono in pratica.
Dopo anni passati a sopportare, ingoiare veleno e stare in silenzio, arriva quel momento in cui esplodi, e rimani senza fiato. Ed è fisiologico non riuscire più ad andare avanti, cercare di accontentarsi di quello che arriva, stare bene. Non è possibile insistere sempre, stare sul piede di guerra: la vita non dovrebbe essere una trincea, e quando vogliono farvelo credere ordinandovi di non mollare mai, significa che non rispettano il bisogno di chiudersi dentro se stessi e ripararsi. 
Non è ammissibile prendersi del tempo, riflettere, perchè l'ansia della brevità della vita ci spinge a concentrarci più sul fare che sull'essere. Non è il tempo breve, ma i desideri umani a essere smisurati e utopistici. Va bene provarci, ma è da persone forti porre dei limiti e rendersi conto se e quando bisogna smettere. Chi rinuncia non è un debole, è solo stanco di combattere per qualcosa a cui ha diritto, e che altri magari ottengono in maniera celere. 
Chi rinuncia non è pusillanime, ma vuole amarsi e lasciar perdere la scelleratezza della fretta, in modo da preservare la sua salute mentale, di non consumarsi dietro chimeriche aspettative o seguendo ideali romantici. 
Ci vuole coraggio a rinunciare, esattamente come  per abbracciare una causa, proseguire lungo il cammino da soli, allontanarsi. La rinuncia non è mai fatta con leggerezza, ma talvolta con il sacrificio dell'ambizione a favore dell'intelligenza. 
Il rispetto di chi rinuncia è pari all'encomio di chi s'incaponisce senza pensare alle conseguenze. L'idealismo, soprattutto quello più folle, è sempre una qualità che la società premia a scapito del raziocinio, considerato sdegnosamente qualcosa di freddo, calcolato.
Quando la rinuncia è spontanea e ponderata non è mai un male, ma anzi rappresenta la volontà di migliorarsi, amarsi.
Talvolta, rinunciare è la sola scelta che abbiamo.  


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