7/12/21

Giornata d'autore: L'"altra verità" di Alda Merini. Il diario di una diversa

 La vita di Alda Merini è stata travagliata, segnata da una diagnosi di disturbo bipolare e lunghe permanenze in ospedali psichiatrici. Come molti autori e autrici, la Merini ha concentrato un periodo buio della sua vita nei suoi scritti. Così è nata la sua prima opera in prosa "L'altra verità. Diario di una diversa". E oggi ne parliamo nella nostra rubrica 


ph: Amazon 



La prima volta che Alda Merini entrò in un ospedale psichiatrico era il 1947, e aveva sedici anni. La diagnosi fu quella di disturbo bipolare. Vi rimase un mese, Il secondo ricovero, voluto da suo marito, avvenne nel 1964, quando era diventata madre delle prime due figlie. Questa volta, però, la degenza fu molto più lunga: vi rimase per ben 8 anni. Dal 1972 in poi, ebbe inizio una sequela di altri ricoveri, durante i quali riuscì a dare alla luce le alttre due figlie. 

Dopo la morte di suo marito, nel 1983, si risposò con l'anziano medico poeta Michele Pierri, con cui si trasferì da Milano a Taranto. Lì ha inizio la stesura dell'opera di cui oggi parliamo, ovvero "L'altra verità. Diario di uan diversa". 

In quella che è la sua prima opera in prosa. Alda Merini rievoca i suoi terribili anni in manicomio, con una narrazione dolorosamente consapevole. Pratiche estreme come l'elettroshock, la privazione della libertà e la sensazione di un corpo che sentiva di non appartenerle più, la cambiarono per sempre. 

Ciononostante, la poetessa riuscì a rimanere sempre presente a se stessa, a sentirsi libera nell'anima, pur soffrendo l'emarginazione all'interno della struttura dove spesso risiedeva. 

 Di seguito, un estratto del suo libro:



«Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio [...] ero una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fece cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò, e morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio tanto che un giorno, esasperata dall'immenso lavoro e dalla continua povertà e poi, chissà, in preda ai fumi del male, diedi in escandescenze e mio marito non trovò di meglio che chiamare un'ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio. Ma allora le leggi erano precise e stava di fatto che ancora nel 1965 la donna era soggetta all'uomo e che l'uomo poteva prendere delle decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire. Fui quindi internata a mia insaputa, e io nemmeno sapevo dell'esistenza degli ospedali psichiatrici perché non li avevo mai veduti, ma quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso in quanto mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica ad uscire».


fonte: Il tuo biografo





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