Forti a tutti i costi

 

Essere forti non vuol dire essere invincibili, impavidi, senza emozioni e sentimenti. A volte bisogna cadere, distruggere la corazza per poter andare avanti. Per la rubrica "Amici di penna", una riflessione sulla sensibilità e sulla forza. Quella vera 



Ph.Pixabay



Sii forte.

Al giorno d’oggi sembra quasi un imperativo. La società incoraggia quegli stati d’animo, reazioni e pensieri che implicano aggressività, risolutezza e coraggio, inibendo altri aspetti che considera espressione di debolezza come le lacrime, la fuga o la chiusura interiore.

Così, è diventata abitudine di molte persone, che hanno interiorizzato il messaggio di censurare le emozioni negative, iniziare a fingere che la vita sia perfetta, per non disattendere le aspettative sociali.

Il sociologo Erving Goffmann ha introdotto il concetto di maschera, nella sua opera “La vita quotidiana come rappresentazione”: ogni essere umano ne indossa una a seconda delle occasioni, e non si è mai realmente se stessi. La libertà è semplicemente un’utopia. In pratica, la vita somiglia a una grande opera teatrale, dove ciascun individuo interpreta un ruolo ben preciso, con un copione prestabilito.

Io sono una persona “diversamente emotiva”, non ho alcun timore di ammetterlo. E, come me, tantissime altre, molte più di quanto possiate immaginare. Perché se si considera la sensibilità una condanna e non un dono, in parte la colpa è di chi pensa sia qualcosa di cui vergognarsi. Chi come me piange ascoltando musica, vedendo un bambino che soffre, o si commuove ricevendo manifestazioni d’affetto, spesso viene irriso dalla maggior parte della gente.

Questa società - composta da esseri umani che possiedono diversi tipi di intelligenza, inclusa quella emotiva- condanna l’amore ma promuove la cultura della violenza, anche delle emozioni. Impone ciò che devi provare, come devi provarlo, e soprattutto verso chi.

Assistiamo ormai quotidianamente a femminicidi, aggressioni per strada, bullismo di ogni sorta, omicidi per motivi futili, e la cosa peggiore sapete qual è? Che le persone si stanno abituando. Sono talmente assuefatte al linguaggio violento che hanno imparato a familiarizzare con esso, e soprattutto a normalizzarlo. E lo fanno attraverso la minimizzazione, o peggio, il victim blaming, ovvero la colpevolizzazione della vittima.

Secondo questa linea di pensiero, se il responsabile ha perso il controllo infierendo, picchiando o ammazzando, la vittima deve per forza aver commesso un errore imperdonabile, essersi macchiata una colpa incancellabile, ma anche se solo ha osato contraddirlo per ribadire la sua posizione. Il meccanismo perverso secondo cui si tende a proteggere e giustificare il reo, è alla base della proliferazione del germe dell’odio. Ci si sente autorizzati a odiare, perché c’è il sostegno di una società ormai immune alla violenza, e uno Stato che non dà certezze sulle pene, oppure le alleggerisce pericolosamente.

Bisogna essere forti, a ogni costo. Anche se costa un’offesa, una limitazione della libertà, la vita di qualcuno. È necessario dimostrare di indossare la maschera giusta, quella della prepotenza e della crudeltà. Ed è così che le persone hanno paura di avere paura. E di dimostrarla.

La caratteristica desiderabile di ognuno, secondo il senso comune, sarebbe piangere tutte le proprie lacrime di notte, al riparo da giudizi, e svegliarsi al mattino sorridendo, come se non fosse successo niente. E continuare imperterriti a sorridere, senza concedersi il diritto di essere fragili, crollare, chiudere il mondo fuori, riflettere, piangere, gridare, e farsi aiutare.

È fingere che vada tutto bene, che farà magicamente andare tutto bene? Naturalmente, la risposta è no. C’è una sottile differenza tra l’avere fiducia e speranza che qualcosa vada per il meglio, e vivere di quell’ottimismo stucchevole e forzato di chi vuole continuare a illudersi. Io sono una persona realista e, lo ammetto, anche pessimista, ma almeno vedo le cose in una prospettiva ridimensionata e veritiera.

Se essere forti significa distorcere la realtà e non avere il diritto di provare quello che si sta provando, allora io non mi sento affatto tale; nonostante anche essere sensibili abbia un costo.

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